Il cloud computing è a misura di utente?

Con la sempre più elevata disponibilità di banda larga disponibile a basso costo, il “rischio” di ritrovarsi online per buona parte della giornata (o magari 24h/24) è ormai molto elevato. Di ciò stanno approfittando le applicazioni per sfruttare questa risorsa, e in futuro anche i s.o., di cui ChromeOS è il rappresentante più illustre ed “estremo” che l’ha posto alla sua base in un ecosistema che potremmo definire browser-centrico.

Il cloud computing (di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo) diventerà, insomma, sempre più parte della nostra vita. Come per tutte le tecnologie presenta pregi e difetti, ci renderà la vita più comoda, mentre secondo alcuni il prezzo da pagare sarà la nostra libertà (lo spauracchio del grande fratello è sempre dietro l’angolo).

In realtà non c’è ancora alcuna via già tracciata, ma si assiste a sperimentazioni, a tentativi di utilizzo che risultano più o meno riusciti, al fiorire dei cosiddetti Software as a Service (GMail e Google Documents penso non abbiano bisogno di presentazioni), di storage online più o meno evoluti (DropBox ha saputo coniugare semplicità e flessibilità), o addirittura di interi s.o. online che vegetano nel nostro browser (l’italianissimo QubeOS ne è un ottimo rappresentante).

Da utente di alcune di queste tecnologie da tempo rifletto sull’argomento e mi sono chiesto se fosse veramente questo ciò che mi aspetto dal “cloud“. La mia risposta l’anticipo subito ed è un secco no. Non è questo ciò a cui aspiro, perché l’esperienza, sebbene abbia tratto giovamento da alcuni progetti cloud, non mi appaga del tutto.

Due sono i motivi principali che mi portano a questa presa di posizione: il non pieno controllo e l’inconsistenza dell’esperienza di utente rispetto all’ecosistema che utilizzo.

Prendiamo Digsby, ad esempio. Si tratta di un’applicazione nata per supportare più protocolli di comunicazione / chat, a cui sono state aggiunte delle funzionalità di interazione coi social network più diffusi. Il lato “cloud” è rappresentato dalla creazione di un account sui loro server che conserva la nostra configurazione, ivi compresi i dati necessari per connettersi ai vari servizi.

La comodità sta nel fatto che tramite il cosiddetto single sign-on è sufficiente collegarsi a Digsby, che provvederà poi ad autenticarsi automaticamente agli altri servizi. Funzionalità che è presente anche in altri client multi-protocollo, ma il vantaggio di Digsby è che la configurazione rimane sempre nei loro server, per cui il programma è utilizzabile facilmente anche cambiando computer (basta collegarsi a Digsby per scaricarla e utilizzarla).

Questo meccanismo non è stato, però, esteso ai log delle conversazioni, che rimangono soltanto nella macchina su cui si è utilizzata l’applicazione, col risultato di doversi copiare a mano la cartella in cui si trovano memorizzati i file, se vogliamo mantenere uno storico unico.

Skype risolve questo problema, memorizzando tutto nei suoi server (oltre che nel PC), ma rimane limitato al suo ambiente. Si potrebbe pensare di sfruttare DropBox per sincronizzare automaticamente la cartella dei log di Digsby fra tutti i computer; purtroppo anche quest’applicazione è limitata e consente di impostare una sola cartella del sistema con la quale effettuare la sincronizzazione col cloud.

Passando a Google Docs come altro esempio, l’impressione è quella di trovarsi davanti a un’applicazione che tenta di riprodurre il look & feel di una tradizionale desktop, non riuscendoci e presentando pesanti limitazioni (una banale: importando il foglio Excel originale si perde la formattazione grafica delle celle).

Sembra paradossale: all’epoca del boom di internet e del web le applicazioni desktop hanno cercato di assomigliare a quelle web, mentre negli ultimi anni la situazione si è ribaltata, con quelle web che cercano sempre più di mimare le prime.

Comunque non v’è dubbio ed è sicuramente comodissimo poter disporre di documenti online, e quindi utilizzabili da qualunque macchina e da qualunque s.o. vi si acceda, ma l’esperienza risulta decisamente compromessa. Si nota nettamente un “distacco” dall’ambiente in cui si lavora usualmente (e da quanto funzionalmente offerto), anche perché si tratta di un ambiente separato a tutti gli effetti, che non condivide nulla di quello utilizzato dall’utente.

Infatti un grosso svantaggio è rappresentato dal fatto che i documenti rimangono permanentemente nel cloud a meno che non sia lo stesso utente a esportarli manualmente dove vuole. Questo significa pure che se per qualche motivo non è possibile accedere alla rete, non si può nemmeno visionarne una copia, anche se un po’ più vecchia.

Manca, in sostanza, la sincronizzazione automatica fra il computer dell’utente e il cloud che possa garantire ciò che avviene coi già citati Digsby e DropBox, o ancora Opera Link (per chi utilizza questo servizio) che… gira nello stesso browser su cui è aperto Google Docs!

Nel prossimo articolo esporrò alcune idee su come da utente, ma anche con una visione da programmatore, immagino l’utilizzo e l’integrazione con la tecnologia cloud di s.o. e applicazioni.

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