Ascesa e declino dell’assemblato

Ci sono oggetti o piccoli particolari che portano il segno di un’epoca: la TV in bianco e nero, i mangiadischi colorato e il registratore di audiocassette. Oppure il case formato desktop, i floppy da 5 e 1/4 e poi 3 e 1/2, e i monitor CRT con schermo antiradiazione.

Ma anche il paziente lavoro di micromina per raddrizzare i sottilissimi piedini dell’Athlon 64, il settaggio del BIOS via ponticelli o, al limite, dip switches; le ore passate fra reboot e schermate blu del BIOS a cercare i settaggi ottimali di voltaggio, moltiplicatore e velocità del Front Side Bus, l’overclock del Celeron 300A, le cartucce del Pentium III e del primo Athlon…

In un’epoca dominata da dispositivi portatili difficilissimi da smontare e soprattutto da rimontare, di informatica usa e getta per niubbi, c’è chi ha ancora in sé l’orgoglio dello smanettone della prima ora, quello che non aveva paura finanche di impugnare il saldatore o modificare con un bell’HEX editor il dump di un BIOS VGA.

Soprattutto, in un’epoca in cui anche il vero smanettone si destreggia in tempi ristrettissimi fra famiglia e lavoro, il computer hand-made è divenuto, per molti di coloro che ne hanno vissuto il boom, sinonimo della spensieratezza degli anni della scuola o dell’università.

In questo nuovo appuntamento con la nostalgia informatica rievocheremo alcuni totem di quell’epoca e, fra una riflessione e una lacrimuccia, passeremo a domandarci quanto e se sia giusto che la storia abbia preso tutt’altra direzione.

Prima di arrivare alle riflessioni, diamo uno sguardo ai presupposti del fenomeno. L’epoca dell’assemblato rappresenta grossomodo la terza fase della rivoluzione innescata nel 1981 da IBM. Senza dilungarmi troppo sul tema (per chi volesse approfondire rinvio a questi contributi), la prima fase è quella in cui il PC è solo quello prodotto e venduto da IBM e i produttori terzi continuano a competere con piattaforme incompatibili a livello hardware e software.

La seconda è quella dei cloni, in cui numerosissimi produttori, seguendo la strada tracciata da Phoenix e Compaq, si impegnano nella creazione di sistemi compatibili più potenti e veloci degli IBM in circolazione, con un rapporto qualità/prezzo migliore.

La terza è per l’appunto quella in cui anche catene e piccoli negozi di computer acquisiscono un ruolo fondamentale nella produzione di computer, i cosiddetti assemblati.

Soprattutto è la fase in cui la vendita di componenti hardware al dettaglio mette valanghe di neo-smanettoni nella condizione di partecipare, sporcandosi le mani, alla corsa all’upgrade dell’hardware, mentre nella nascente rete Internet inizia a svolgersi un proficuo scambio di pareri, “dritte” e howto.

La distinzione fra seconda e terza fase è in realtà molto meno netta di quanto sia facile da capire: cloni di marca e assemblati si sovrappongono ampiamente sull’asse cronologico, ma si rivolgono a una clientela molto diversa e pertanto rimangono due fenomeni distinti e paralleli.

Il computer di marca rimane solitamente la scelta dell’azienda e del “novizio”, e torna prepotentemente allorquando la GDS soffoca la concorrenza dei punti vendita specializzati.

L’assemblato, magari auto-assemblato è invece il sistema di chi, provato il brivido di mettere le mani sull’hardware, ci ha “preso il vizio”. Al punto da snobbare tutti coloro che, per imperizia o scelta di vita, decidono di affidarsi alle configurazioni preconfezionate delle catene informatiche o dei produttori, magari castrate nell’espandibilità da schede madri custom o altre limitazioni proprietarie.

Il fenomeno dello smanettamento hardware in verità non inizia coi compatibili IBM ma ha radici già nell’epoca delle piattaforme chiuse, che offrono possibilità di espansione più o meno ampie, più o meno artigianali, che si tratti di Amiga, Mac o finanche Commodore 64.

È tuttavia solo nell’epoca dell’IBM compatibile, poi Wintel, che il fenomeno esplode, grazie all’accresciuta dimensione del mercato, alla pletora di alternative disponibili per ogni sottosistema e i prezzi sempre più contenuti dell’hardware.

Lo smanettamento non è solo hardware: dopo aver scelto – seguendo la grancassa dell’editoria specialistica – le componenti adeguate per ottenere una configurazione equilibrata, aver valutato i migliori abbinamenti fra chipset, VGA, RAM, aver deciso se schierarsi fra i cultori di Intel o gli adepti di AMD, aver eventualmente valutato alternative oggi dimenticate come Cyrix, Nexgen, Chips&Technologies, i più audaci passano anche alla valutazione del driver giusto, all’editing dei file .inf, alla ricerca di driver “moddati”.

Un capitolo a parte andrebbe dedicato all’overclock, vera e propria scienza arcana con punte di fanatismo. Fra regolazioni di voltaggio, moltiplicatore, FSB, la pratica dell’overclock è, ancor più di quella dell’assemblaggio, arbitraria, ricca di rischi e foriera di grande frustrazione. Ma quale indescrivibile gusto ottenere, dopo giorni di test, un sistema discretamente stabile (almeno, finché la temperatura della stanza non eccede i 25° C) con una spesa dimezzata rispetto al costo delle parti più performanti!

Un altro trademark dell’epoca degli assemblati è il tremendo BSOD. Vuoi per driver di periferica scritti coi piedi, vuoi per modifiche incaute al BIOS, vuoi per errori nell’assemblaggio, una discreta fetta della cattiva reputazione di Windows 9X è forse imputabile ad errori che non competono ai programmatori di Redmond.

Nel frattempo Internet cresce a vista d’occhio, i forum si popolano di colossali thread di discussione sui più minuscoli dettagli della configurazione, con tanto di benchmark allegati.

Già, i benchmark: perché se l’overclock è il Viagra, il benchmark è il centimetro o il cronometro con cui milioni di appassionati si misurano, dando sfogo a pulsioni autenticamente adolescenziali con punte “interessanti” dal punto di vista psichiatrico.

Sebbene l’assemblato sia ben lontano dall’essere divenuto un ricordo, così come l’overclock e la mania del benchmark, l’impressione è che si tratti di fenomeni la cui età dell’oro è lontana. Il che a mio avviso discende da tre fattori: innanzitutto l’informatica negli ultimi quindici anni è divenuta un fatto di massa, e si sa che alle masse interessa la funzione più che l’ingranaggio che la rende possibile.

In seconda battuta i pionieri dell’epoca dell’assemblato oggi hanno lavorano, hanno moglie e figli a cui correre dietro, e di tempo da dedicare a trastullarsi con l’hardware ne resta poco.

Ultimo ma non ultimo, fra boom dei portatili, smartphone, tablet e console, il panorama tecnologico è cambiato radicalmente e lo stesso concetto di PC desktop si avvia a diventare minoritario.

Se, come dice Jobs, il PC per come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi si avvia a fare la fine degli opulenti pickup americani, assemblati e PC modificati si avviano sulla strada delle cromate e potentissime hot-rod anni ’50: un fatto di nicchia, solo per veri cultori della materia.

Rimpiangeremo quest’epoca? Vi racconto il mio percorso. Un bel giorno, non più tardi del 1999, parlando di computer sotto i portici di Bologna, un compagno di studi mi fece riflettere sull’eventualità che il mio uso del PC fosse dopotutto autoreferenziale, fine a se stesso.

Mentre camminavo verso casa riavvolsi il nastro di quasi un decennio passato nel mondo PC a buttare soldi in aggiornamenti hardware e smanettamenti vari, un decennio venato da quel senso di insoddisfazione che si prova a davanti a un’opera perennemente incompiuta.

Me ne entrai quatto quatto in camera e accesi il mio PC con Celeron 300A a 450 Mhz, con tanto di dissipatore in rame a tripla ventola arrivato da Computernerd USA (800 gr per un numero imbarazzante di db, rimasto due mesi bloccato in dogana). Osservai sorridendo il foro, ancora nero di fiamma ossidrica, commissionato al fabbro sul lato del minitower per consentire l’alloggiamento del colossale dissipatore. Iniziai a farmi domande e a darmi risposte.

Fra ritorni di fiamma e nuove distrazioni, per un motivo o per un altro, sono anni che smonto il mio vecchio e glorioso tower solo quando c’è da togliere un po’ di polvere.

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