Doom e l’arte dello sterminio dei demoni

C’era una volta un agente polacco in fuga da un castello nazista, che si trovò ad affrontare, solo, un folto gruppo di avversari armati fino ai denti. Decine di migliaia di ragazzini, nel lontano 1992, guidarono l’eroico William B.J. Blazkowitz, protagonista di quel capolavoro che fu Wolfenstein 3D, e con vero piacere ripresero il gioco a livelli di difficoltà sempre superiori, scaricando sui cattivoni più bipartisan del XX secolo, tonnellate di piombo virtuale.

Debellato l’esercito nazista – compreso il Hitler in carne, ossa e mitragliatrici integrate – a chi destinare i flussi di violenza videoludica che ancora animavano schiere di adolescenti? Immagino John Romero e John Carmack presi in una dissertazione degna dei dialoghi socratici, concludere dopo ore di sudore, all’unisono: “il diavolo in persona!”.

Per la gioia di coloro che nel 1993 scoprivano il sottile piacere di ridurre a macinato fino demoni di ogni foggia, con l’ausilio di un vasto e fantasioso arsenale, oggi parleremo dunque di Doom, uno dei giochi più popolari dell’intera storia videoludica, in questo nuovo incontro con l’informatica al passato remoto.

Arruolati nello UAC (United Aerospace Corporation), ci ritroviamo su Marte dopo aver maltrattato un nostro superiore – il quale, manco a dirlo, ci chiedeva di sparare a un gruppo di civili, in spregio ai nobili principi che qualche secolo prima guidarono le bombe intelligenti durante l’invasione dell’Iraq.

Una volta sul pianeta rosso, veniamo a conoscenza di esperimenti segreti di teletrasporto fra le due lune di Marte, Phobos e Deimos, durante i quali qualcosa va storto, ma molto storto.

Spediti immediatamente con un commando a perlustrare Phobos, scopriamo infatti, non senza qualche stupore, che il tunnel di teletrasporto ha aperto un canale che porta dritto all’inferno, attraverso il quale orde di demoni stanno invadendo la base.

Ben presto ci accorgiamo che i nostri compagni di missione sono belli e spacciati: armati di coraggio, spirito di abnegazione e una misera pistola, partiamo dunque alla caccia dei crudeli invasori. Una caccia che ci porterà molto lontano, per la precisione fin dentro l’inferno, sede dell’ultimo episodio.

Similmente al predecessore Wolfenstein 3D, il gioco si articola infatti in episodi, ciascuno composto da 9 livelli. Il primo episodio, come nel predecessore, è disponibile gratuitamente con licenza shareware, il che consente al titolo di avere una diffusione spropositata: nel 1995, sembra circolassero oltre 10 milioni di copie di Doom, il che ne fece per qualche tempo il software più diffuso al mondo, più dello stesso Windows 95.

La trama del gioco, piuttosto scarna, non impedisce a Doom di rappresentare una pietra miliare anche in quanto ad atmosfera e immersività: il merito va al motore grafico programmato dallo stesso John Carmack, che stabilisce per anni a venire un punto di riferimento nel settore.

Dopo un solo anno  il motore di Wolfenstein 3D sembra già vecchio, grazie all’uso di texture complesse, allo sviluppo verticale delle mappe, ai miglioramenti alla geometria e alla prospettiva dello scenario, alla resa uber-splatter dei combattimenti e a mille altri croccantissimi dettagli.

L’azione nei vari scenari è frenetica e i livelli di difficoltà conferiscono al titolo un’ottima longevità, rafforzata dalla modalità multiplayer (cooperativa e deathmatch, 1/4 giocatori), dalla personalizzazione del gioco attraverso l’uso dei celebri file WAD e, nel 1997, dal rilascio del codice sorgente del titolo.

Se i numerosi livelli, l’arsenale a disposizione del protagonista – di cui fa parte anche una motosega, finita su Marte per motivi che non è dato di comprendere – e il vasto assortimento di mostri tengono milioni di giocatori incollati allo schermo per mesi, è proprio la modalità multiplayer che trasforma Doom in un vero e proprio culto, praticato in case e uffici di tutto il mondo, con grande scorno degli sventurati amministratori di rete.

Si tratta di un’anteprima assoluta per il genere FPS – che fino a qualche anno dopo il rilascio di Doom sarà definito semplicemente “Doom clone” – che regala, come sanno tutti coloro che l’hanno provato, ore di divertimento fra amici e tassi di violenza gratuita ai danni del computer del tutto inediti.

Con decine fra conversioni e sequel ed un’intera generazione di titoli derivati – fra cui l’indimenticabile e molto più autoironico Duke Nukem – i motivi che rendono Doom una leggenda del settore sono numerosissimi, e non c’è modo migliore per scoprirli che caricare il gioco nel proprio emulatore di fiducia, cosa che mi appresto a fare.

Prima di lasciarvi, desidero però proporvi una chicca: un video in cui scopriamo la reale identità del nostro tostissimo personaggio, niente popò di meno che il noto fondatore di una delle aziende più ricche al mondo…

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