Con Twitter le forze del bene torneranno in Cina

Be a force of good è il principio proclamato qualche giorno fa Evan Williams, cui dovrebbe ispirarsi tutta l’attività di Twitter, l’azienda da lui co-fondata. È di ieri la notizia secondo cui Twitter starebbe preparandosi ad entrare nel mercato cinese con una versione localizzata della sua piattaforma di microblogging.

La notizia segue di pochi giorni quella citata nel pezzo di ieri, secondo cui Google sarebbe in procinto di cessare – o solo sospendere? – le operazioni in terra cinese, causa gli obblighi censori imposti dal governo locale a qualunque azienda voglia operare sul territorio (oltre a un massiccio attacco ai suoi server proveniente dalla Cina).

Come sappiamo, la battaglia di Google ha assunto l’enfasi della crociata per la libertà di parola in Cina, peraltro col pesantissimo supporto del Segretario di Stato Clinton, che ha colto l’occasione  per contestare duramente le politiche liberticide di Pechino.

In quest’ottica cosa significa il progetto di Twitter di entrare in Cina? Ha a che vedere con la possibilità di creare un nuovo cortocircuito nella calotta censoria cinese, con la possibilità di fare ghiotti affari – alla vigilia del lancio della sua piattaforma di advertising – nel primo e più esplosivo mercato Internet al mondo, con un po’ di tutt’e due o con altro ancora?

Prima di formulare qualche altro dubbio sulla questione, vorrei riflettere sul rapporto fra Twitter e il “Great Firewall of China”. Twitter è intrinsecamente real time e la sua forza, perlomeno in teoria, consiste proprio nel ricalcare il “battito cardiaco” delle conversazioni. Le politiche censorie praticate dal governo cinese sarebbero in grado di reggere a questo approccio? O non si finirebbe per introdurre un inevitabile collo di bottiglia nel flusso di messaggi?

Di più: Twitter accetterebbe questa limitazione pur di essere presente nel grande mercato Internet cinese? O piuttosto sbarcherebbe in Cina proprio con la speranza di riuscire a forzarne i filtri censori? Non dimentichiamo che 140 caratteri in cinese consentirebbero ben altro volume di comunicazione rispetto a 140 caratteri dell’alfabeto latino.

Ipotizziamo che Twitter, azienda di diritto privato, si ponga esattamente la “missione” di tentare di scardinare la logica censoria con il grimaldello del real time – al di fuori di quelle logiche di profitto cui ogni azienda dovrebbe tendere e coerentemente con il suo dipingersi come “forza del bene”.

Posto che il governo cinese non ama farsi tirare per la giacchetta, quale sarebbe il significato politico di questa mossa? Chi se ne gioverebbe e perché? Più precisamente, se lo scardinamento del sistema censorio finisse – come certamente finirebbe – per indebolire la leadership cinese a vantaggio di attivisti e dissidenti, quale governo ne trarrebbe il massimo giovamento?

Vi lascio con un’ultima domanda: quando secondo voi, vedremo Twitter sbarcare in Arabia Saudita, altro paese che certo non brilla in quanto a libertà di espressione?

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