La Warner all’attacco del “safe harbor”

Safe HarborL’ultima puntata della crociata delle major contro Internet ha come oggetto un servizio che si autodefinisce “playable search engine”.
Il sito che lo offre – SeeqPod – ospita un particolare motore di ricerca, capace di reperire sulla rete files audio, e riprodurli direttamente dall’interfaccia del browser attraverso un front end flash.

Le funzionalità del sito, a cui ci si può registrare gratuitamente, includono anche la creazione di playlist personalizzate e l’ormai classica funzione di ricerca di tracce simili – in base a genere, autore, epoca etc. – a quella scelta per prima.

Come già sapete, malgrado le interessanti feature, a rendere SeeqPod famoso negli ultimi giorni è una causa intentata dalla Warner, la quale tocca uno dei punti nodali dello scontro fra major e protagonisti del mercato digitale.

La questione centrale è che le rivendicazioni della Warner – circa il fatto che il solo rendere disponibile un servizio di ricerca equivalga a incitare la “violazione di massa del diritto d’autore” – cozzano con il principio di Safe Harbor sancito dal DMCA, secondo il quale, per esempio, i motori di ricerca non possono essere denunciati per il fatto di fornire collegamenti a materiale illegale o protetto da copyright.
Inutile dire che questo principio raccoglie la più viva ostilità da parte delle major, che si trovano da esso costrette a fronteggiare una miriade di micro “criminali” invece che i grandi motori di ricerca.

Certo è che se questo principio venisse meno, crollerebbero a catena non solo SeeqPod o The Pirate Bay, ma anche giganti del calibro di Youtube, già vittima di una denuncia da parte di Viacom per motivi del tutto analoghi. Gli stessi motori di ricerca generalisti dovrebbero poi rivedere radicalmente i propri servizi.

Insomma, lo scontro fra i modelli distributivi resi possibili da Internet e quelli difesi dalle major è sempre più diretto e il dibattito sul safe harbor ne rappresenta una tappa cruciale. Come andrà a finire esattamente è difficile dirlo, anche se l’enorme indotto che ruota attorno alla rete per come la conosciamo oggi, difficilmente darà spazio a “ribaltoni”.

Molto più facile che alla fine siano le major a dover adeguare il proprio modello di business, mettendosi alla rincorsa di quelle aziende – Apple per esempio – che hanno saputo prima e meglio interpretare la rivoluzione della rete.

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