Wolfenstein 3D: il primo grande FPS

Il concetto di fuga da un luogo ostile anima i sogni da cui ci si sveglia con un po’ di batticuore, le fantasie che ci tenevano assorti fra le file di banchi del liceo durante qualche lezione particolarmente indigesta, oltre ad alcuni fra i più avvincenti film d’avventura.

Poche trame come quelle incentrate sulla fuga riescono a trasmettere quella suspance che rende un sogno o un film memorabile a distanza di anni. Corridoi, passaggi segreti, nemici in agguato, trappole, la superiorità schiacciante delle forze avversarie nel loro stesso quartier generale: se questi elementi bastano a mantenere incollati a un televisore, perché non dovrebbero bastare a mantenere incollati a un monitor per qualche ora?

Dev’essere questa la domanda che si sono posti gli sviluppatori della mitica iD Software quando hanno deciso di riprendere la trama dei precedenti Castle Wolfenstein (1981) e Beyond Castle Wolfenstein (1984) della Muse Software, per creare quello che molti considerano l’antesignano del genere sparatutto in prima persona in 3D.

In questa nuova puntata della rubrica dedicata al culto della dietrologia tecnologica, ci occuperemo per l’appunto del titolo che ha portato alla ribalta la iD Software ed aperto la strada a saghe leggendarie come Doom e Quake: Wolfenstein 3D (1992).

Già dal title screen è evidente il senso della missione: ricorrere ad ogni espediente, compresa l’imboscata, la fuga strategica, l’attacco a viso aperto, per fronteggiare il nemico in casa sua, con armi e risorse molto limitate, da soli contro tutti.

A giocare la parte dei cattivi, sono i nemici più bi-partisan che la storia del ventesimo secolo ci abbia regalato ovverosia i perfidi nazisti, sulla cui identità non è possibile confondersi neppure ascoltando le varie frasi esclamate dai nemici al momento di esalare l’ultimo respiro.

Protagonista dell’azione è il soldato alleato William “B.J.” Blazkowitz, americano di origine polacca, che come ogni polacco durante la seconda guerra mondiale, è molto motivato a fare strage di coloro che ritenevano con disprezzo, la propria terra madre “territorio non germanizzabile”.

Se gli elementi base della trama sono piuttosto semplici, è nell’esecuzione del progetto che troviamo l’elemento che rende il titolo memorabile. A partire, per l’appunto, dalla quasi inedita prospettiva tridimensionale in prima persona, resa possibile dalla potenza elaborativa messa a disposizione dai PC, Macintosh, Acorn Archimedes (il porting per Amiga avverrà a Commodore già defunta, nel 1999, grazie al lavoro di sviluppatori indipendenti sul codice sorgente rilasciato da iD), oltre che dalle console su cui il gioco venne trasportato.

Tutto ha inizio dalla cella dove il nostro BJ è stato imprigionato: un soldato morto e la pistola con sole 16 munizioni spiegano chiaramente l’antefatto, pur non dando alcun avviso della lunghezza e complessità della missione che ci aspetta, specialmente ai livelli di difficoltà più tosti.

Il gioco consta infatti di 6 missioni in totale: la prima disponibile gratuitamente assieme alla versione shareware del gioco – un fattore che diede una fortissima spinta alla diffusione del gioco – altre due nella versione full a pagamento, e ulteriori 3 disponibile nel mission pack Nocturnal Missions.

Ogni missione si compone di 8 livelli più quello finale con il boss, e un livello segreto, a cui si accede attraverso un passaggio nascosto nei corridoi labirintici di uno dei primi 8 livelli.

L’ambientazione – per i parametri dell’epoca – è resa con ampio sfoggio di dettagli e decorazioni, a partire da ovvi ed espliciti riferimenti a simboli nazisti che molti guai hanno comportato tanto in fase di esportazione del gioco, quanto nella conversione – celebre il sequestro della versione per Atari Jaguar e l’eliminazione di ogni riferimento al partito nazista nella versione Nintendo.

Il gameplay alterna momenti frenetici come l’assalto ad assembramenti nemici, alla quiete dei lunghi corridori vuoti, regalando un livello adrenalinico straordinario.

L’azione è corroborata dalla velocità del motore grafico, capace di regalare ottimi frame rate anche su configurazioni PC basate su CPU 386 a 33Mhz e l’assoluta fluidità con sistemi 486, sempre con scheda grafica VGA.

Assolutamente memorabili sono poi i boss di fine missione, equipaggiati con armamenti improbabili quanto devastanti e accompagnati da ricche schiere di scagnozzi. Altrettanto indimenticabile è la mitragliatrice a 6 canne, con la proverbiale fiammata dalla bocca di fuoco, capace di esaurire l’intera scorta di munizioni in una manciata di secondi – ma vuoi mettere che gusto?

Magnifico nella sua semplicità, è il “momento catartico” finale, con un orizzonte di cielo azzurro e foreste dietro l’ultima porta che, dopo ore di corridoi e stanzette, viene accolto dal nostro eroe con un urlo di liberazione – rigorosamente accompagnato da quello del giocatore.

Per tutto quanto detto, più infinite altre chicche che scoprirete solo armandovi di DOSBox o altro emulatore, Wolfenstein rappresenta una pietra miliare del genere FPS, il vero e proprio “anno zero” di una generazione di giochi nonché la consacrazione di geni come John Carmack e John Romero, che molti altri capolavori regaleranno al genere FPS.

Pur non concedendo molto alla strategia, a cui si preferisce un approccio “spara a tutto quel che si muove”, il gioco è ricco di pathos oltre ed è in grado a tutt’oggi di regalare ore di divertimento e un tasso di ri-giocabilità elevatissimo, grazie anche all’abbondanza di passaggi e livelli segreti e a livelli di difficoltà che impongono un uso sempre più oculato di medikit e munizioni disponibili, ai livelli aggiuntivi sviluppati dalla stessa iD e dalla una vastissima community di appassionati, senza contare i sequel ufficiali che arrivano fino al 2003.

Non a caso gli ultimi porting del gioco sono recentissimi, e includono piattaforme come iPhone, Playstation, Xbox 360 e Windows Mobile.

Saremo mai abbastanza grati alla iD Software per questo capolavoro e i successivi? Mentre me lo chiedo, continuo a sperare che questo pezzo di storia dell’industria videoludica – acquisita recentemente dalla Zenimax, già titolare del marchio Bethesda – riesca a dimostrare che il  talento della id Software è ancora materia di sola nostalgia….

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