Qualche impressione sulla condanna di Google Italia

È di ieri una notizia a dir poco dirompente:

Pena (di 6 mesi) sospesa, assolti dal reato di diffamazione (Il Sole 24 Ore radiocor) – Milano, 24 feb – Condanna a sei mesi per violazione della privacy a tre tra dirigenti ed ex dirigenti di Google. Lo ha stabilito il tribunale di Milano a conclusione del processo per la pubblicazione nel 2006 su una piattaforma di Google di un video nel quale veniva ritratto un ragazzo disabile mentre subiva vessazioni da parte di compagni di scuola. La condanna, con pena sospesa, riguarda David Carl Drummond, senior vice president di Google e all’epoca dei fatti presidente del cda di Google Italia, George De Los Reyes, uscito dalla societa’ nel frattempo e nel 2006 membro del cda di Google Italia, e Peter Fletitcher, global privacy council di Google. I tre sono stati assolti dal reato di diffamazione. E’ stato assolto completamente Arvind Desikan, product marketing manager di Google Video per l’Europa. Fla- (RADIOCOR) 24-02-10 10:29:54 (0079) 5 NNNN

Fonte: Il Sole24Ore

Pur in assenza delle motivazioni della sentenza, che saranno depositate fra qualche giorno, non sono mancate, com’è tradizione nel belpaese, critiche feroci da parte del pubblico. Esponenti di spicco di Google non si sono a loro volta esentati da pesanti critiche – il che rappresenta una mancanza di rispetto nei confronti del nostro sistema giudiziario, come nota Stefano Quintarelli.

Non si è esentato da una critica – di nuovo in assenza di motivazioni della sentenza, come riporta anche stavolta Stefano Quintarelli – neppure l’ambasciatore USA in Italia.

Non sono un legale e mi piacerebbe avere un parere qualificato, ovviamente dopo il deposito delle motivazioni.

Mi trovo però sempre più spesso a pensare che Google venga difesa, dentro e fuori le mura dell’azienda, come si difenderebbe il concetto stesso di progresso, di bene comune. Il che mi sembra strano, quando poi penso che Google è un’entità che opera a fini di lucro e che né Youtube, né il Settlement, né il search in generale – benché contrabbandate, e in parte a ragione ritenute, come passi gaussiani nell’evoluzione della specie umana – sono attività estranee alla logica della partita doppia.

Se poi l’innovazione entra in rotta di collisione con la legge, è corretto presentarla come qualcosa che si prende o si lascia tout-court, alla stregua di una fede religiosa?

In certi commenti “fideistici” letti in giro per la rete l’impressione è proprio questa: che il successo delle iniziative di Google corrisponda a priori al bene assoluto. Con un metodo ben noto anche al mondo politico, la questione “buca” la barriera cognitiva ed entra prepotentemente in quella emotiva, dove non esiste ragione ma, appunto, fede.

Personalmente sono sempre stato molto attento nell’osservare il modo in cui la legge – in particolare sotto l’influenza della pressione lobbistica di aziende e gruppi di potere – ostacola immotivatamente l’innovazione, danneggiando l’interesse comune.

Non credo tuttavia che, se pure in nome dell’innovazione astratta da ogni logica di lucro, sia corretto sorvolare su principi fondamentali, come per l’appunto è la privacy. Ritengo al contrario che anche all’innovazione tecnologica – di cui Google si dipinge come primo alfiere – dobbiamo rivolgerci per chiudere ogni gap che venga a crearsi fra progresso e legge e i principi fondamentali di uno stato democratico.

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