Apple Newton: figlio di un dio minore

apple-newtonIl mondo è pieno di sorprese per chi non ha memoria. Al contrario, coloro che si danno appuntamento su AD ogni venerdì pomeriggio, la memoria ce l’hanno e desiderano coltivarla, anche a costo di affrontare quel po’ di malinconia che giunge dall’aver attraversato in prima persona fatti di cui si parla al passato remoto.

Alla vigilia del probabile lancio del nuovo tablet Apple, la pluridecorata rubrica dedicata alla nostalgia informatica si occuperà dunque di indagare sul suo più illustre predecessore: Newton, una piattaforma mobile creata dall’azienda di Cupertino fra la fine degli anni ’80 e l’inizio della successiva decade.

Newton vuole rappresentare un nuovo approccio alla produttività personale in mobilità, alternativo a quello del PC in miniatura, altrimenti detto portatile o laptop: un dispositivo del tutto diverso, orientato alla connettività, davvero portatile, dotato di un’interfaccia che privilegia l’intuitività e la praticità al tentativo di replicare tutte le feature di un desktop.

In questo senso Newton è fin dal primo minuto uno strumento complementare rispetto al computer di casa. Lì dove il Newton fa dell’integrazione con il desktop un’arma vincente, il laptop ne rappresenta una replica in piccolo, spesso severamente limitata dal punto di vista delle prestazioni e della fruibilità (non dimentichiamo cosa erano i laptop a fine anni ’80).

Se Newton concentra relativamente poche funzionalità base – delle applicazioni parleremo a breve – necessarie all’uso in mobilità, il laptop sacrifica peso, autonomia e dimensioni per dare accesso a tutte le funzionalità di un computer.

Si tratta dunque di un approccio del tutto differente rispetto alla contrazione del desktop da cui sostanzialmente il laptop deriva: una direzione analoga a quella intrapresa anni prima da Psion con la sua famiglia di organizer – il cui primo modello abbiamo esaminato qualche mese fa.

Le varie incarnazioni della piattaforma Newton sono accomunate dunque da questo diverso approccio alla produttività mobile, che sacrifica feature in nome della portabilità e fa leva su un modello d’interazione – antesignano del touch molto in voga in questi anni – totalmente display-centrico.

È l’inizio della travagliata era del PDA – termine coniato dall’allora CEO di Apple John Sculley, forte promotore della piattaforma – l’acronimo dietro cui si cela il modello d’uso delineato.

Come piattaforma software, Newton è fin da principio aperta a produttori hardware di terze parti, fra cui figurano Sharp (a cui si deve parte dell’ingegnerizzazione e la produzione dei modelli Apple) e Motorola.

Apple, azienda promotrice della piattaforma e autrice del lato software (Newton OS), si attiva da subito sul fronte sviluppatori di terze parti, sperando di creare attorno alla famiglia di dispositivi un parco software che ne estenda le funzionalità fino ad incontrare i bisogni di un mercato allargato.

Il parco software che risulta da questi sforzi è in effetti piuttosto florido, con applicazioni dedicate alla produttività, allo svago, con qualche puntata su mercati verticali come ad esempio quello medico.

Dal punto di vista hardware, i dispositivi Apple Newton – nati lontano dall’ombra “semplificatrice” di Steve Jobs – sono espandibili, personalizzabili, hackabili, ed attraggono l’interesse di schiere di smanettoni e aziende produttrici di accessori. Qualche esempio: nello slot PCMCIA del Newton potevano essere installate schede di rete ethernet, modem, GPS, ed era perfino disponibile una scheda acceleratrice per la CPU!

Coerentemente con una filosofia più simile a quella dell’Apple II che a quella del Mac, i dispositivi Newton erano del tutto aperti ad usi anche non previsti dalla casa madre, “disponibili” a qualunque genere di hack hardware o software.

L’hardware Newton rappresenta la prima scintilla della relazione – oggi floridissima – fra Apple ed ARM. L’azienda inglese, nata da una costola della  Acorn (già controllata da Olivetti), aveva pochi anni prima dello sviluppo del Newton, sviluppato una CPU RISC per il suo Archimedes, da cui discese in seguito una intera famiglia di processori RISC a basso consumo.

L’architettura ARM, ai tempi del Newton, era in grado di offrire prestazioni simili a quelle di un 68000, con consumi estremamente ridotti. Una CPU basata su architettura ARM6 avrebbe quindi preso il posto della misconosciuta architettura Hobbit (inizialmente prevista per il Newton, di cui Cesare un giorno o l’altro potrebbe raccontarci) in virtù di prestazioni migliori e requisiti energetici inferiori.

Una delle killer applications di Newton, promossa a tambur battente negli spot, era quella di poter trasmettere toni ad un apparecchio telefonico, il che rendeva il dispositivo idoneo a trasmettere fax senza bisogno di accessori, dopo averli composti con l’ausilio dell’innovativa interfaccia a pennino.

Nell’agosto del 1993, dopo numerosi ritardi uno sviluppo piuttosto travagliato (per la quale vi rimando a quest’ottimo approfondimento di Lowendmac), il primo modello della famiglia Apple Newton, figlio prediletto dell’ispirazione di John Sculley, debuttò sul mercato USA per circa $ 700.

La diffusione sul mercato dei dispositivi della famiglia Newton fu negli anni successivi interessante ma non sufficiente a supportare l’ambizione di Sculley di creare una rivoluzione simile a quella del Mac, capace dopo i numerosi di sviluppo e promozione, di alimentare i il fatturato di Apple.

Nei primi anni ’90 la situazione finanziaria dell’azienda di Cupertino era in effetti critica, tanto che Sculley, padre putativo del progetto, fu costretto alle dimissioni da CEO pochi mesi prima che la sua amata creatura vedesse la luce.

Newton, figlio di un dio minore in casa Apple, rimase a galla durante la gestione Spindler e in quella Amelio. Poco dopo il rientro di Jobs, nel 1998, ne fu decretata la cancellazione assieme ad altri “rami secchi”: una mossa – secondo molti  dettata dall’odio di Jobs per l’uomo che lo aveva catapultato fuori dal board dell’azienda da lui co-fondata nel 1985 – che non mancò di suscitare la ribellione di una consistente fetta di pubblico.

Quel che resta oggi di Newton, il “knowledge navigator” nato dalla visione di John Sculley, è una ancora viva comunità di nostalgici e il sapore di una grande idea forse mal eseguita, forse in anticipo rispetto ai tempi – non dimentichiamo che gli anni successivi al debutto di Newton, sono gli stessi del boom della telefonia cellulare. Ma soprattutto, e non è poco, un’ombra “pesante” su iPhone e, ancor più, sulla prossima creatura di Apple.

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