SSD, non basta la tecnologia: serve un nuovo modello d’uso

Come molti, mi sono trovato sempre più spesso a valutare un upgrade SSD per il mio portatile – che uso come unico computer. Ogni volta ho rinviato, bloccato dai due elementi che frenano tutto il mercato dall’adozione della nuova tecnologia: capacità e costi.

Non è una novità: malgrado rapide discese di prezzo, gli SSD hanno infatti un costo/GB ancora smisuratamente più elevato di quello delle unità tradizionali. I tetti massimi di capacità sono poi in assoluto bassi: tali da richiedere un rimodellamento del mio stile d’uso che non sono disposto ad affrontare.

Sono dell’idea che un’innovazione, per avere successo sul mercato, non debba limitarsi a soddisfare un’esigenza (in questo caso, più velocità nello storage), ma debba farlo in modo economicamente sostenibile, ovverosia offrendo un rapporto costi/benefici che abbraccia anche la soddisfazione di bisogni funzionali.

Allo stato attuale invece gli SSD, a fronte di uno sforzo economico molto cospicuo, costringono l’utenza in spazi di storage ristretti, forzandola eventualmente a spostare buona parte dei propri dati su periferiche esterne.

È il mio caso: ho un HD da 320GB che presto rimpiazzerò con un 500GB, dove tengo  file multimediali, documenti, macchine virtuali, applicazioni. In questo modo, oltre ad avere tutto a disposizione, mi basta un solo backup per tenere al sicuro la parte più sensibile dei miei dati.

Certo, non ho bisogno della massima velocità per ogni singolo dato a cui accedo: al contrario, la velocità è un fattore sensibile solo per una parte minoritaria dei miei dati, quelli a cui accedo più di frequente. In caso di migrazione ad SSD, mi troverei però a pagare 5/10 € a GB per conservare una larga fetta di dati a cui accedo una volta a settimana o meno.

Il che mi porta al punto: il problema degli SSD è che attualmente non si integrano nel mio modello d’uso, delineatosi in anni di evoluzione – più verso lo spazio disponibile che verso le performance – degli hard disk tradizionali. Comprare oggi un SSD significa per me troppi compromessi: prezzo, capacità, necessità di spostare fuori dati che prima tenevo sempre con me.

In uno dei miei vaneggiamenti da smanettone, ho quindi valutato l’idea di rimpiazzare il mio HD principale con un SSD veloce e di dimensioni contenute (64GB massimo) per OS e applicazioni, e sostituire l’unità ottica con un secondo hard disk.

Si tratta di un’operazione laboriosa e costosa, ma allo stato attuale è l’unico modo per salvare capra e cavoli: velocità di accesso dove serve, ampia capacità quando serve. Sacrificando però l’unità ottica, che dovrei portarmi dietro in un case esterno.

L’alternativa è aspettare che gli SSD arrivino ad un prezzo per GB e ad una capacità massima simile a quella degli hard disk tradizionali, il che potrebbe però richiedere anni.

O magari sperare che per Seagate, il recente sviluppo di un hard disk da 2.5″ ultrasottile (7mm), sia il preludio a una logica 2 in 1: nello spazio occupato da una enclosure da 2.5″ per 9.5mm, inserire due unità fisiche, un disco tradizionale di capacità elevata (almeno 320GB) e un SSD da 40/60GB.

Quelli sarebbero, anche oggi, soldi ben spesi.

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