La stampa italiana riporta la realtà nel modo corretto?

Nel giornalismo anglosassone esiste una netta distinzione tra quelle che loro chiamano news e views, ovvero i fatti e le opinioni.

Precisamente, ci sono giornali di fatti e giornali di opinioni: due modi distinti di vedere la realtà che vanno in due tipi di pubblicazione distinti. La distinzione tra cronaca e commento e quindi la separazione tra news e views è considerata, anzi, un cardine nel linguaggio giornalistico anglosassone. È così anche in Italia?

Le risposta è ovvia ed è no. La tradizione giornalistica italiana, da questo punto di vista, è inversa rispetto a quella anglosassone. I giornali cosiddetti omnibus, ovvero quelli che integrano views a news, si sono diffusi sin dal primo dopoguerra nella nostra nazione, e sono così radicati nel mondo del giornalismo italiano che ormai i lettori non avvertono più la mancanza di un sistema con news e views distinte.

Gli italiani comprano le testate giornalistiche di riferimento per leggere il parere del giornalista di turno, dando a quest’ultimo un potere straordinario: diventa così un “opinion leader” praticamente incontrastato.

Le testate giornalistiche di riferimento in Italia negli ultimi anni si sono dovute adattare ai due media che a turno le hanno scavalcate per numero di lettori/spettatori: prima la televisione e poi internet. Negli anni ’90 i giornali sono diventati lo specchio della televisione, ne hanno assunto le strategie di comunicazione e hanno attinto moltissime notizie da quello che succedeva in Tv.

Le parole d’ordine in questa fase erano “inconfondibile miscela di spirito alto e materia bassa”, “attenzione a tutto quanto è televisivamente popolare e popolarmente televisivo”, “apparente leggerezza e disponibilità al gossip”.

La mistura totale di news e views arriva con internet. L’approdo su internet delle principali testate ha sdoganato le ultime resistenze, creando degli ibridi praticamente perfetti, siti in cui è possibile leggere le ultime notizie di politica ma anche lustrarsi gli occhi con le procaci protagoniste del “jet set”.

Le prime non hanno necessariamente più rilevanza delle seconde, e sicuramente non sono le più cliccate. Questo approccio è stato premiato da un pubblico, quello internettiano, sicuramente differente rispetto a quello televisivo o giornalistico, che probabilmente non avrebbe potuto augurarsi di meglio.

Non solo non c’è più la distinzione tra cronaca e opinioni, ma non c’è più distinzione di genere. Tutto va bene in qualsiasi momento e in qualsiasi modo. Il principale risultato di questo cambiamento è stata la spettacolarizzazione dell’informazione e la sua serializzazione.

Cogne, Garlasco, Knox sono storie uguali a tantissime altre che accadono contemporaneamente nello stesso paese, ma catturano le attenzioni perché hanno i caratteri della spettacolarizzazione e perché possono essere facilmente serializzate, ovvero divise in puntate. Il punto è che non è possibile, pena l’alterazione della realtà, applicare questo metodo a tutti i tipi di fatti.

La separazione tra news e views nei paesi anglosassoni, invece, è inscalfibile, ed esiste dal momento della nascita del “vero” giornalismo, che risale al 1837 quando uno sconosciuto stampatore di New York, Benjamin H. Day, inziava la stampa del suo giornaletto New York Sun.

Il New York Sun dà molto spazio alle notizie locali, alla cronaca spicciola e a servizi sensazionalistici sugli eventi più scioccanti: per esempio, per rendere più accattivanti le notizie, Day incarica un suo reporter di trattare i casi giudiziari del giorno in chiave umoristica. Nasce così la figura del giornalista che va sulla strada a indagare con l’obiettivo di dare risalto alle notizie che altrimenti rimarrebbero avvolte nell’oscurità. Prima di quel momento i giornali erano praticamente delle agenzie di stampa dei rispettivi Governi.

In Italia la libertà di stampa è regolata dall’articolo 21 della Costituzione e dalla Legge sulla Stampa scritta dall’Assemblea Costituente nell’immediato dopoguerra. L’articolo 21 ribadisce che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, e poi specifica che: «Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili … La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni».

La nostra Costituzione prevede che ogni testata sia registrata al Tribunale. Non si può considerare come un limite alla libertà di stampa, visto che si tratta di una semplice procedura burocratica che il Tribunale non può respingere per motivi legati al contenuto degli stampati.

La parte che si riferisce alle manifestazioni contrarie al buon costume è, invece, un vero e proprio limite, anche se non si è mai capito cosa i Costituenti intendessero con buon costume. Infine, la parte “La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica” non è praticamente mai stata ascoltata (non intendiamo soffermarci su questo, però basta ricordare che negli anni ’80 l’associazione massonica P2 era praticamente alle spalle del Corriere della Sera tramite i fondi del Banco Ambrosiano senza che questo fosse noto in alcun modo).

«Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere», diceva Charles de Secondat, Barone di Montesquieu nel 1748. La separazione dei poteri giudiziario, legislativo ed esecutivo è il cardine dello stato di diritto.

La nostra Costituzione la tutela, ma scivola su alcune cose grossolane. Bisogna sempre pensare al periodo storico in cui la Costituzione è stata scritta e a chi l’ha scritta. Ci si spaventava di un possibile ritorno allo stato dittatoriale e i due partiti che sono usciti vincitori dalla guerra hanno dovuto accontentarsi l’un l’altro.

Risultato? Si è dato un potere sconfinato al Parlamento. I nostri parlamentari tutt’oggi eleggono il Presidente della Repubblica, un terzo dei giudici della Corte Costituzionale, 8 dei 27 membri del Consiglio Superiore della Magistratura, hanno un grosso legame con il Presidente del Consiglio dei Ministri che deve costantemente rivolgersi a loro per adeguare la sua visione a quella della “maggioranza” e hanno il controllo pressoché totale della Commissione di Vigilanza della Rai. L’Italia è l’unico paese democratico dove la politica ha un controllo diretto sull’informazione.

Quando il Parlamento si è arrogato il diritto di controllare la televisione pubblica? Nel 1975 quando, per garantire che più voci potessero arrivare agli italiani, si tolse il monopolio al partito allora dominante per darlo a tre partiti. Questa inaccettabile lottizzazione esiste ancora oggi. È possibile togliere questi poteri al Parlamento? Per come sono messe le cose oggi in Italia no, perché gli unici che possono cambiare la Costituzione sono coloro che non hanno interesse a cambiarla.

“Ci si spaventava di un possibile ritorno allo stato dittatoriale”, dicevamo qualche paragrafo sopra quando si parlava degli scarsi poteri dati all’Esecutivo. È vero, ma c’è un’altra contraddizione nella nostra Costituzione: non è stato pensato a un limite al numero di mandati né per il Presidente del Consiglio né per il Presidente della Repubblica.

Questo ha portato all’assurda situazione di oggi, in cui tutti sanno che c’è qualcosa che non va, ma nessuno può fare qualcosa per cambiare le cose. Sarebbe bastata una postilla per evitare quello che è successo dal 1946 a oggi.

Infine, riportiamo un pronunciamento, che di fatto sancisce una regola, della Corte di New York, e l’articolo 45 della Legge 69 del 3 febbraio 1963 che istituisce la professione del giornalista:

USA: «Giornalista è chiunque scriva per giornali, TV o programmi radiofonici, oppure, chiunque in un sito web esponga le sue idee, racconti la sua verità».

Italia: «Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’Albo professionale».

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