Olivetti Prodest PC1, il “compatibile” per le masse

PC1 ProdestIl rumore delle vecchie tastiere, il colore dei fosfori verdi o ambra dell’epoca protozoica del personal computer, il ronzio dei floppy da 3 e 1/2 e 5 e 1/4, il fascino ormai vintage del formato desktop, la pressione del pulsante turbo sul cabinet per scatenare tutta la potenza di calcolo della CPU e vedere lunghissime directory volare sullo schermo: sensazioni provenienti da un’epoca passata ma non dimenticata.

Fra vecchi sistemi e puntate nel passato videoludico, lo spirito della rubrica settimanale dedicata ai retro-nostalgici è proprio questo: scavare nella polvere del passato per rievocare sensazioni, sollecitare ricordi, raccontare di un’epoca informatica senz’altro molto più emozionante dell’attuale.

Veniamo all’oggetto della puntata di oggi: l’azienda di provenienza è la gloriosa Olivetti di Ivrea, ma ahimè il prodotto non è minimamente all’altezza dei suoi illustri predecessori, e del prestigio del marchio già leader nel mercato delle macchine da scrivere.

Correva l’anno 1988, dall’altro lato dell’oceano Atlantico, il co-fondatore di una Apple un tempo grande ammiratrice della capacità innovativa della Olivetti, lanciava il NeXT Cube, mentre Amiga e Atari ST già da tempo si contendevano il mercato home computer.

Proprio in quell’anno la Olivetti decise di lanciare il suo Prodest PC 1, un computer destinato al mercato home/educational, basato – a differenza dei precedenti PC 128 e PC 128 S – su tecnologia più o meno fatta in casa. Nel 1988, un computer basato su NEC V40 (16 bit con data bus a 8 bit, simile ma non pin compatible con l’Intel 80188) e grafica CGA, pur in un mercato meno evoluto di quello americano (dove il flop dell’IBM PCJr ancora riecheggiava), rappresentava tutt’altro che la leadership tecnologica espressa solo pochi anni prima con prodotti professionali come M20 e M24.

Era forse il mercato home/educational in cui Olivetti non credeva molto, ma perché non attingere alla tecnologia della controllata ARM e importare un Archimedes ribrandizzato, piuttosto che allinearsi alla concorrenza degli Amstrad e dei Sinclair PC200, con un prodotto peraltro mediocre? Perché, pur volendo seguire la strada del MS-DOS compatibile, non adottare CPU più aggiornate e una grafica più attraente per il pubblico target del sistema?

Un punto su cui PC 1 non deludeva è il design: simile al PC 128 ma più curato, caratterizzato dal formato all-in-one, tipico degli home computer di una volta, con uno o due lettori floppy nella parte alta e la possibilità d’installare un hard disk, il computer aveva un look originale, che ricordo distintamente a distanza di anni.

Dal punto di vista tecnico, oltre alla citata CPU NEC V40 e alla grafica CGA, il PC1 disponeva di 512KB di memoria RAM, un potente beeper al comparto audio, una tastiera XT da 83 tasti accompagnata da mouse e un’uscita per il collegamento alla TV (in alternativa era possibile acquistare un monitor a fosfori verdi). A governare tutto questo ben di dio, provvedeva la release 3.20 di MS-DOS.

Il prezzo di vendita di un PC1 discretamente accessoriato si avvicinava al milione: una cifra sufficiente nel 1988 a portare a casa un Amiga. In estrema sintesi, in un mercato nazionale ancora dominato dagli home a 8bit, in cui iniziavano a farsi strada le fantastiche piattaforme a 16bit, il PC1 non godeva di alcun vantaggio competitivo – salvo che il provenire da un marchio che non era solito venir accostato al mondo videoludico, opzione molto appealing per taluni genitori.

La compatibilità MS-DOS, punto di forza del PC1 e dei suoi competitor Amstrad PC 1512, Sinclair PC200, Commodore PC1, era ben poca cosa se confrontata alla potenza grafica e computazionale di macchine come l’Amiga, o al prezzo ormai molto abbordabile dei popolarissimi Spectrum e Commodore 64.

Dubito che, come in molti altri casi successivi, Olivetti abbia fatto affidamento più sull’amor patrio che sul valore tecnico, per piazzare i PC1. Una logica che sul mercato – pur non disponendo di dati di vendita affidabili – immagino abbia prodotto risultati molto diversi da quelli che otteneva nelle gare d’appalto pubbliche.

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