Limitazioni sul traffico dati degli smartphone, di chi è la colpa?

Tethering alla vecchia maniera Già molto tempo fa, ho lamentato l’impossibilità di sfruttare l’iPhone – contrariamente a qualunque terminale recente da 50 euro – come modem.

Se il rilascio dell’ultima versione dell’iPhone non ha chiarito definitivamente quest’ambiguità (fatto salvo per H3G, che ha da subito dichiarato il tethering possibile), con l’aggiornamento 3.1 dell’iPhone OS si è introdotta un’ulteriore turbativa: tutti coloro che hanno sborsato per intero la cospicua somma necessaria all’acquisto del terminale sbloccato (499 per il 3G, 599 o 699 per il 3Gs), e lo utilizzano con un operatore non partner di Apple (Wind), dopo l’aggiornamento all’OS 3.1 non dispongono del tethering.

A molti è capitato di domandarsi, durante gli ultimi mesi, come mai gli operatori creino sull’iPhone, più difficoltà di quanta ne creano per altri terminali: la stessa AT&T si è mostrata a più riprese restia a consentire l’uso di questa funzione, anche a fronte di lauti canoni mensili.

Vodafone, negli ultimi giorni, è addirittura arrivata a dichiarare che il traffico tethering non è coperto dalla già esigua quota garantita in cambio dei suoi esosi piani tariffari.

A questo punto, urge una spiegazione: non importa se per trovarla dovremo formulare ipotesi al confronto delle quali quelle di David Icke sono commonsense. Questa enorme serie di castronerie, che penalizza direttamente e selettivamente gli acquirenti del più costoso terminale in circolazione (ma non solo), nonché dei più grassi piani tariffari disponibili, deve avere un senso.

Abbiamo spiegato tempo addietro che iPhone rappresenta un oggetto il cui appeal si estende ben oltre la tradizionale clientela degli smartphone di fascia alta. iPhone è il capitano della “consumerizzazione” degli smartphone da 500 euro e più, una tendenza che altri produttori non hanno tardato a seguire con smartphone da più di 300 euro diretti al segmento consumer. Un esempio pratico: osserviamo l’evoluzione del posizionamento dei terminali Nokia top di gamma, dal 9000 Communicator al recente N97.

Da questa considerazione, ovverosia alla luce del fatto che una serie di utenti consumer che fino a ieri utilizzavano primariamente servizi a basso bitrate come voce e SMS, oggi siano attratti dall’iPhone verso la fruizione di servizi più onerosi sull’infrastruttura, discende una conseguenza da tenere ben presente: l’iPhone (ma non solo, come vedremo) potrebbe rappresentare per gli operatori un incremento netto, e non di poco conto, del traffico sull’infrastruttura.

In altri termini, potrebbe comportare la trasformazione di utenti fino a ieri molto redditizi (perché fruitori di servizi “leggeri” come voce e SMS), in utenti meno redditizi, in quanto attratti dall’uso di funzionalità più gravose sull’infrastruttura.

Mi risponderete: sì ma il traffico è tariffato, quindi più traffico, più guadagni. Il punto è in effetti nodale, ed ogni contributo tecnico in tal senso è benvenuto. Da quel che vedo, la resistenza degli operatori all’abilitazione del tethering (così come l’imposizione di limiti di traffico spesso molto bassi, anche per la navigazione da telefono) indica che un approccio meno cauto nel concedere traffico, richiederebbe un aggiornamento dell’infrastruttura, pena l’insorgere di disservizi.

Ecco che dunque il tethering diventa un servizio premium, magari dedicato ai professionisti. Un servizio da trasformare in un nuovo canale di revenue.

È una lettura che ha perfettamente senso, anche quando confrontata alla situazione americana – che vede spesso AT&T oggetto di reclami per disservizi sulla copertura di rete – ma ripeto, qualunque contributo in tal senso è benvenuto.

Se è vero quel che abbiamo sostenuto, non è certo da Apple che proviene la volontà di castrare il tethering, ma  dagli operatori stessi. Il motivo è molto semplice: limitare i danni. La fruizione della rete su telefono, per quanto ricca, genera un volume di traffico limitato. Un computer, anche in condizioni non ottimali di banda, è in grado di macinare molti più kbyte al secondo, spingendo il terminale al suo limite massimo di throughput.

OK, ma come mai il problema si limita al solo iPhone e non a tutti i terminali suoi concorrenti, anch’essi fortemente Internet-oriented? Credo che si tratti esclusivamente di un problema di comunicazione: l’iPhone è l’oggetto del momento, tutto ciò che lo riguarda ottiene un’eco più vasta. Trovo conferma a questa mia lettura spulciando le condizioni d’uso di un rivale di iPhone:

Al momento della sottoscrizione del piano a soli 10€ al mese ti verrà attivata automaticamente l’opzione Mobile Internet Phone per navigare con il tuo cellulare fino a 2GB al mese.

Anche fra i dettagli dei piani tariffari AT&T per un altro terminale, scopro che:

Data Services sold for use with AT&T RIM BlackBerry devices, and PDAs may not be used with other devices, including but not limited to, Personal Computers, PC Data Cards and the like, either by tethering devices together, by SIM card transfer or any other means.

Come per Vodafone, i piani tethering sono distinti dai piani per il traffico dati da cellulare.

A quale conclusione ci conduce questa analisi? Innanzitutto al fatto che non è solo iPhone, ma l’intero mercato dei terminali evoluti, a subire le conseguenze di queste “castrazioni”.

Dal punto di vista tecnico, un dato sembra emergere con chiarezza: per tempi tecnici e costi infrastrutturali, per la ancora relativa immaturità dei modelli di business, ma anche per una piuttosto evidente retrivia ad accettare l’evoluzione dei collaudati modelli di consumo, gli operatori rallentano, e in un certo senso zavorrano, l’evoluzione del comparto smartphone.

Un’evoluzione, ad onor del vero, spinta in avanti da soggetti – i produttori di smartphone – che non hanno alcun coinvolgimento nei costi legati al mantenimento e all’aggiornamento dell’infrastruttura.

Press ESC to close