La tecnologia dentro le batterie, terza puntata

Pubblichiamo la terza parte di un guest post di Ray_of_light

Dopo aver esaurito il tema delle batterie primarie (qui e qui), in questo nuovo appuntamento con la tecnologia delle batterie ci occuperemo di batterie ricaricabili sigillate.

Le batterie ricaricabili hanno assunto, negli ultimi tempi, una notevole importanza, a seguito della diffusione di apparecchi che richiedono una assoluta portabilità, come un telefono o un music player. Molte delle soluzioni ricaricabili sono di tipo “embedded”, laddove la batteria non può essere sostituita dall’utente, come in quasi tutti gli MP3 Player e alcuni tipi di laptop recenti; tuttavia non è una soluzione preferita dagli utenti, in quanto l’apparecchio diventa inutilizzabile fino alla successiva ricarica. La soluzione embedded riduce ovviamente i costi dell’apparecchio.

Le più note batterie primarie hanno un corrispondente ricaricabile. Fino a qualche anno fa, era possibile trovare sul mercato solo batterie ricaricabili con una chimica Nichel – Cadmio. Tali batterie utilizzano nichel al polo positivo, cadmio al polo negativo, e idrossido di potassio come elettrolita. I poli non sono costituiti di metallo pieno, ma di una polvere che viene compressa a caldo, per far in modo che diventino porosi. Tecnicamente vengono definiti come “elettrodi sinterizzati”.

Le batterie a Nichel – Cadmio hanno la possibilità di erogare forti correnti se paragonate al corrispondente formato non ricaricabile. Tuttavia presentano degli svantaggi notevoli, tra cui la notevole tossicità e una capacità relativamente bassa.

La chimica interna della batterie al Nichel cadmio è basata culla formazione di idrossidi di entrambi i metalli, che fungono da agenti ossidanti e riducenti rispetto ai due metalli. Come in tutte le batterie con elettrolita a base di acqua, vi è una cura particolare per evitare che si formi una mistura esplosiva gassosa di idrogeno e ossigeno durante la ricarica. Nelle batterie a nichel cadmio si fa in modo che l’elettrodo negativo abbia il doppio della capacità di quello positivo, in modo tale che una sovraccarica produca solo ossigeno sotto pressione. Quando la pressione supera le 3,5 atmosfere, al polo negativo si forma idrossido di cadmio che viene riciclato come acqua all’interno della batteria. Per questo motivo, le batterie a nichel cadmio possono resistere a sovraccariche moderate e prolungate, sempre che le guarnizioni si conservino in buono stato.

Le batterie al nichel cadmio hanno come principale problema la forte auto scarica. Nel senso che, una volta ricaricata e lasciata inutilizzata, la batteria perde velocemente, in poche settimane, tutta la sua carica. Un altro dei problemi di queste batterie è l’effetto memoria, per cui le batterie che vengono utilizzate solo parzialmente perdono la loro capacità di fornire tutta l’energia conservata.

Le batterie al nichel cadmio sigillate videro la luce negli anni 50. Solo negli anni 90 furono invece immesse sul mercato le prime batterie sigillate al Nichel – Idruro. Queste batterie hanno una capacità che, a parità di dimensione, può arrivare a tre volte quella delle corrispondenti batterie al nichel cadmio. Un altro punto di vantaggio, ed è un notevole vantaggio, è che non contengono il cadmio che è, come abbiamo già accennato, estremamente tossico.

Le batterie Ni-MH (dove Ni sta per Nichel, e MH per metallic hydrides, idruri metallici) hanno un polo positivo costituito da nichel, un elettrolita costituito da idrossido di potassio, e un polo negativo costituito di una lega di lantanio e nichel. Il polo negativo di queste batterie imita le proprietà del palladio, che è un metallo semiprezioso capace di conservare idrogeno al suo interno, fino a 900 volte il suo volume. Il polo negativo delle batterie Ni-MH agisce come una spugna capace di conservare idrogeno al suo interno, che poi reagisce con l’ossido di nichel al polo positivo per generare corrente elettrica.

Le batterie Ni-MH hanno quasi tutti vantaggi rispetto alle batterie al Ni-CD. Esse hanno una capacità maggiore, tossicità inesistente, costi inferiori, lavorano a bassa pressione interna. Inoltre, il polo negativo funge da catalizzatore su cui si ricombinano idrogeno e ossigeno che possono svilupparsi con una sovraccarica prolungata.

Tra gli svantaggi menziono la maggiore delicatezza del polo negativo, che mal tollera la sovraccarica. Un tempo eravamo abituati a lasciare nel caricabatteria le batterie Ni-Cd fino a che non dovevano essere utilizzate; un simile comportamento distruggerebbe le batterie al Ni-MH, che hanno bisogno di caricabatterie con un sensore capace di rilevare il picco negativo di tensione che si sviluppa a fine carica.

Tuttavia, tutte le batterie Ni-MH prodotte fino al 2006 avevano lo stesso problema di quelle al Ni-CD: lasciate cariche e inutilizzate per più di qualche giorno o settimana, perdevano tutta la carica. Poi la ricerca nel settore ha proceduto notevolmente, sempre a causa della “onda verde” nel settore dell’energia, e la Sanyo in Giappone riuscì a produrre una batteria al Ni-MH che una volta caricata, mantiene la sua carica per anni.

La Sanyo chiama questa tecnologia “Eneloop” e, al contrario di Energizer con le batterie al litio, la concede in licenza. Altri produttori chiamano questo tipo di tecnologia “hybrid battery” in quanto sono un ibrido tra quelle primarie e secondarie. Universalmente, nel mondo anglosassone, sono conosciute come LSD battery, or Low Self Discharge. Sul mercato sono state introdotte come “Pre-charged”, o pre-caricate.

In Italia ho visto in vendita le Eneloop, le Hybrio della Uniross, le Active Charge della Duracell, le “Infinium” della Panasonic, che sono tutte basate sulla stessa tecnologia della Sanyo.

Ci saremmo aspettati che questa nuova tecnologia spiazzasse le batterie Ni-MH costruite con la vecchia tecnologia, invece ciò non è accaduto: potete trovare sugli scaffali dei supermercati entrambe le versioni. Questo accade perché le persone acquistano le batterie ricaricabili valutando la capacità. Una batteria Ni-MH tradizionale ha una capacità di 2600 mAh, una ibrida 2100 mAh.

Dopo un mese o anche meno, quella tradizionale ha perso quasi tutta la carica, mentre quella ibrida conserva ancora tutta la sua energia. E’ difficile spiegare all’utente medio che può sostituire tutte le batterie, primarie e ricaricabili, con delle batterie ibride. Eventualmente, col tempo ciò potrà accadere, specialmente se i produttori daranno rilevanza a questa invenzione. E’ da notare come il “coniglio” sia stato l’unico produttore di batterie a non introdurre sul mercato una batteria ibrida, per motivi a tutt’oggi inesplicabili.

Termino con un accenno alla chimica delle batterie ibride. Esse sono costituite con gli stessi componenti e composti chimici delle Ni-MH tradizionali, a cui sono stati apportati dei cambiamenti che richiedono un più sofisticato controllo del processo di produzione. In particolare, lo stato di ossidazione n. 3 del nichel viene “scoraggiato”, la concentrazione dell’elettrolita viene diminuita, e la “spugna” al polo negativo viene costruita con “pori” più piccoli, per scoraggiare le fughe di idrogeno. Tutte queste variazioni fanno in modo che la batteria ibrida non si scarichi da sola.

Come tutte le altre batterie ricaricabili e non, e basate su elettrolita acquoso, le batterie ibride non funzionano bene al freddo intenso, e perdono la loro capacità di ritenzione della carica al di sopra di cinquanta celsius.

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