La strana scelta quotidiana de “Il fatto”

Persistenza della memoria

Da alcuni anni Internet spinge vigorosamente in direzione del “real time”, non solo e non più raccogliendo, aggregando e spingendo sui monitor di quella frazione di mondo connessa, gli enormi flussi digitalizzati dell’informazione tradizionale globale, ma adeguandosi con strumenti nuovi a veicolare notizie sempre più succinte e frammentarie.

Le testate giornalistiche tradizionali rispondono a questo trend con notizie sempre più parcellizzate, brevi, di pronto uso e rapida obsolescenza.

L’effetto più significativo di quella che altro non è se non la più moderna dimostrazione della non neutralità del medium rispetto al messaggio, è la visibile retrocessione della funzione di selezione ed analisi tipica dei media tradizionali, a favore della rapidità di reazione.

In questo contesto mi pare perlomeno singolare la decisione di una testata giornalistica che si appresta a nascere nel 2009, Il fatto di Antonio Padellaro, di scegliere una periodicità quotidiana.

Una scelta che valuto in netta controtendenza rispetto ad una informazione tradizionale tutta presa nell’operazione di “contenimento dei danni”, fra adozione a tappe forzate dei nuovi modelli imposti dalla rete, e il tentativo di preservare un valore aggiunto sempre più sottile e impalpabile.

Una scelta che mi pare porti il segno di una fondamentale e credo condivisibile presa di coscienza: la citata rincorsa alla rapidità di reazione, è una lotta impari per chi ancora applichi al giornalismo criteri professionali, poiché col comprimersi della notizia, si azzera il “bonus” della competenza e dell’esperienza, e la fonte accreditata finisce per mescolarsi con l’ingenua ma pervasiva prontezza del newsmaking amatoriale, che nella rete trova un moltiplicatore formidabile.

Se si isolano i tre ruoli fondamentali del giornalismo professionale, ossia selezione, aggiornamento e analisi, divengono evidenti i deficit cui va incontro chi comprime l’informazione negli spazi del tempo reale: una totale concentrazione sull’aggiornamento, a scapito del lavoro preventivo di selezione e, notevolmente, di quello posteriore di analisi.

Il quadro che risulta dalla valutazione del “giornalismo” partecipativo – e i suoi riflessi sul giornalismo tradizionale – lungo questi tre assi, è congruente con la situazione che l’utente Internet si trova ad esperire: in assenza di un filtro selettivo, la cernita del rilevante dall’irrilevante è interamente nelle sue mani.

Si tratta di una sovversione della teoria dell’agenda setting – secondo la quale, per l’appunto, i media di massa decidono in vece del loro pubblico, quel che è importante e quel che non lo è. Una sovversione che apre sì ad un universo più vasto, meno schematizzato e prono alla manipolazione, ma che ha l’effetto collaterale di abbandonare l’utente al caos dei flussi informativi: un labirinto ai fini pratici infinito, in cui ogni cunicolo è contemporaneamente il più giusto e il più sbagliato.

Seguendo la già citata (in Internet ci rende più ignoranti e ottusi?) metafora di Borges, l’assenza di una funzione analitica che offra solidi punti di riferimento nella complessità dei flussi informativi, può accentuare lo straniamento del lettore, trasformando le concrete mura del labirinto nei ripetitivi e identici orizzonti di un deserto. Una prospettiva fosca, soprattutto per chi non sbarchi sulla rete protetto da una solida “ossatura intellettuale”.

Tornando a Il fatto, da parte mia lo valuterò proprio in merito alla posizione che assumerà rispetto ai tre assi (e all’autorevolezza che dimostrerà nell’esercizio di ciascuna delle tre funzioni), ma la scelta della periodicità quotidiana già mi pare indice di un rinnovato accento sulle funzioni di selezione (in un quotidiano, specialmente se cartaceo, gli spazi sono finiti) e analisi, piuttosto che sulla valanga di aggiornamenti che finiscono per seppellire sotto cumuli di irrilevanza anche ciò su cui varrebbe la pena di soffermarsi.

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