Il declino dei piccoli negozi di computer, la fine dell'”età dell’oro”

Un negozietto

Ci ritroviamo oggi in questo spazio virtuale dedicato ai “tories” tecnologici per parlare non tanto di un videogioco d’epoca o di un ormai introvabile o leggendario computer che ha popolato i sogni di una generazione, ma di una categoria di attività commerciali che in qualche modo hanno dato lo spunto – almeno in Italia, dove di catene di negozi informatici non se ne sono perlopiù viste fino alla seconda metà degli anni ’90 – alla rivoluzione dell’home e personal computer: i piccoli negozi d’informatica.

Autentici “pizzicagnoli” dedicati ai generi tecnologici, questi negozi, con le loro vetrine infarcite di sistemi, accessori, software, hanno fatto sbavare la prima generazione di smanettoni e hanno probabilmente raccolto il sudato contenuto dei salvadanai di molti di noi.

Nella mia memoria ci sono pomeriggi passati in centro ad osservare le vetrine, preparando la poderosa azione di pressing sui genitori post-pagella o prenatalizia, o semplicemente sognando quello che sapevo di non poter avere a breve. O piuttosto le ore spese chiacchierando su questo o quel computer, questo o quel gioco, lanciando epiteti ai sostenitori dell’Atari ST, guardando favolose demo, disquisendo sull’ultimo numero di ZZAP o TGM o K, studiando la configurazione del mio PC ideale e anche, per qualche anno mamma al seguito, facendo acquisti.

Uscito dal mondo Amiga, ricordo benissimo le ore spese ad attendere l’assemblaggio del mio primo “clone”; un potente 486DX a 33 Mhz con 4MB di RAM, doppio floppy da 3 e 1/2 e 5 e 1/4, hard disk da 210MB, scheda video Tseng Labs ET4000 con la bellezza di 256KB di memoria video (e i socket per espanderla a 1MB, tramite chip dal costo esorbitante), monitor 15″ a colori, una fiammante Sound Blaster Pro, acquistato nel 1991 ad un prezzo ragguardevolissimo.

Per non parlare delle centinaia di visite finalizzate o preparatorie dei vari upgrade, degli almeno 5 tipi di 486 DX4 provati in un weekend, fino ai vari K6 con overclock di 33mhz, al mitico Celeron 300A e poi al Pentium II, il tutto inframezzato da estenuanti prove di overclock (quando lo si faceva coi jumper o i dip switch sulla MB, e gli aggiustamenti della frequenza da BIOS erano solo un sogno), upgrade nel comparto VGA, situazioni in cui la tostatura di un componente diveniva un momento di masochistica gioia, perché mi costringeva all’upgrade.

Che dire poi delle frequenti diatribe sulla lotta Intel/AMD, i rudimenti di smontaggio e montaggio appresi osservando il titolare un po’ spazientito dai ragazzini attorno, i racconti delle mirabili configurazioni multiprocessore più doppia Voodoo2 finite nelle mani dell’incompetente di turno, gli epiteti contro chi strapagava sistemi di marca preassemblati, offendendo la dignità della nostra categoria, riducendo il computer a un banale elettrodomestico?

E poi le ore e ore passate a diagnosticare i problemi software più singolari, in un tempo nel quale parlare di stabilità con riferimento a Windows era come parlare di castità in riferimento a Cicciolina, o i frequenti andirivieni (a piedi) per verificare l’arrivo dell’ultimo gioco, che puntualmente giungeva con due settimane di ritardo, e via a consumare scarpe.

In ognuna di queste situazioni, e nelle infinite altre che appartengono alla memoria di molti di noi, le persone che gestivano questi piccoli negozi, hanno aggiunto un valore inestimabile fatto di socialità, scambio di opinioni, condivisione di esperienze, consigli. Fra le pareti e le vetrine di quelle spesso piccole botteghe, hanno abitato i sogni un po’ consumisti e un po’ romantici di migliaia di smanettoni in erba.

Pensare che oggi questi piccoli negozi, hanno ceduto il posto a titanici centri commerciali messi uno sull’altro, popolati da gente che spesso non ha alcuna esperienza e competenza circa quello che vende, e che si mantengono in piedi su equilibri finanziari oscuri, mi riempie il cuore di tristezza. Forse era inevitabile, dal momento che ormai il computer un elettrodomestico lo è diventato a tutti gli effetti, o forse si poteva fare di più per regolamentare l’illogico proliferare dei megastore.

In ogni caso ormai è tardi e il VAR (Value Added Reseller, categoria riconosciuta anche nel mondo del trade) rappresenta più o meno un ricordo del passato. E non è detto che di quel valore aggiunto non si sentirà la mancanza.

PS Dopo 21 anni di onorata attività, il 31 luglio prossimo, il mio personale “pusher” per una ventina d’anni, abbasserà per l’ultima volta la saracinesca, dopo una lunga serie di chiusure e fallimenti che hanno coinvolto quasi tutte le restanti piccole attività informatiche della mia città.

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