L’energia di una stella a nostra disposizione

Il 2009 diventerà forse un anno da ricordare nella storia energetica del mondo. È infatti l’anno in cui è stata completata una mastodontica struttura chiamata NIF (National Ignition Facility), al laboratorio nazionale di Lawrence Livermore, 80 chilometri da San Francisco. Si tratta di un edificio di dieci piani grande quanto 3 campi da calcio, dove si vuole riprodurre la fusione nucleare controllata, per ottenere la più potente fonte di energia pulita concepibile: l’energia del Sole!

In fisica nucleare si chiama fusione il processo per cui due nuclei si fondono assieme per creare un unico nucleo di un elemento più pesante. Questo processo può rilasciare energia o assorbirla, a seconda del tipo di nuclei coinvolti. Generalmente per i nuclei più leggeri del ferro l’energia viene rilasciata: fondamentalmente l’inverso di quanto accade per la fissione, dove l’energia viene rilasciata quando si hanno molti nucleoni nel nucleo.

Ovviamente serve dell’energia iniziale per fondere assieme, per esempio, due protoni (nella fusione dell’idrogeno) dovendo superare la repulsione elettromagnetica esercitata tra particelle della stessa carica, però, una volta data l’energia iniziale, viene rilasciata un’energia 100 volte superiore, perché la “forza forte” che tiene unite le particelle all’interno del nucleo è, come dice il nome, l’interazione più forte in natura.

Oltre a produrre molta più energia dei processi attualmente esistenti, la fusione nucleare ha molti altri vantaggi. Per esempio, il costo di costruzione delle centrali rimarrebbe invariato rispetto al numero di centrali costruite (al contrario di quanto accade oggi per quasi tutti i tipi di energia, rinnovabili e non), inoltre il carburante utilizzato per produrre energia (il deuterio) è di facile reperimento: circa 1 ogni 6500 atomi di idrogeno presenti nel mare è in realtà un isotopo di deuterio.

Il fenomeno della fusione nucleare avviene in continuazione e in modo estremamente controllato e regolare all’interno delle stelle, dando origine alla loro energia. Sulla Terra avviene finora solo in modo incontrollato, come per esempio nelle bombe a idrogeno.

La vera sfida è proprio quella di riuscire a imitare le stelle, controllando questa energia per poterla usare. Il problema è che nelle stelle la stabilità è garantita dalla forza gravitazionale, che riesce a contrastare la degenerazione di un’esplosione termonucleare grazie alle immense masse coinvolte.

Sulla Terra non possiamo fare affidamento sulla gravità per confinare la reazione di fusione, e dobbiamo quindi trovare metodi alternativi, come il confinamento magnetico o inerziale . Studi in questo senso si sono susseguiti dagli anni ’50 fino ai nostri giorni, ma una vera soluzione sembra essere ancora lontana.

O almeno sembrava esserlo fino a due lunedì fa quando nel laboratorio di Lawrence Livermore sono stati accesi in contemporanea i 192 laser che verranno utilizzati per controllare il processo di fusione; questo evento è stato il primo passo verso l’accensione dell’impianto, che avverrà se la prossima fase, prevista entro due o tre anni, avrà successo, provando definitivamente che è possibile riprodurre in laboratorio le condizioni che portano alla fusione di due isotopi di idrogeno in un nucleo di elio.

Il confinamento magnetico è stato inizialmente preferito dagli scienziati, soprattutto a causa della scarsa o nulla conoscenza che si aveva dei laser. L’idea era di utilizzare forti campi magnetici per confinare un caldissimo plasma composto da ioni ed elettroni liberi, in modo da poterlo riscaldare fino ad anche 300 milioni di gradi kelvin. In queste condizioni, un nucleo di deuterio (un protone e un neutrone) e un nucleo di trizio (due neutroni e un protone) possono superare la forza di repulsione causata dai loro protoni e fondersi assieme in un nucleo di elio, contenente due neutroni e due protoni.

Negli anni ’70 si è cominciato a capire meglio il possibile utilizzo della luce laser, e si è cominciato a studiare la possibilità di utilizzare fasci di luce laser per comprimere e riscaldare gli isotopi dell’idrogeno, fino a raggiungerne il punto di fusione. Questa tecnica viene chiamata ICF (inertial confinement fusion), ed è esattamente quella che viene maggiormente sviluppata al NIF.

In questo caso, 192 potentissimi laser vengono focalizzati su una piccolissima “pillola” sferica contenente pochi microgrammi di deuterio e trizio. Il riscaldamento rapidissimo causato dai laser fa si che lo strato esterno del bersaglio esploda.

E, come predetto dalla terza legge di Newton (“Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”), la parte rimanente del bersaglio viene concentrata verso l’interno da un’implosione simile a quella dei razzi, causando una compressione del carburante interno alla capsula e la formazione di un’onda d’urto, che riscalda ulteriormente il carburante nel centro del bersaglio e dà cosí inizio a un bruciamento autonomo del materiale, anche detto “ignizione”.

La combustione della fusione si propaga verso la regione esterna della capsula, verso il sistema di raffreddamento, molto più rapidamente di quanto la capsula stessa possa espandersi. Contrariamente a quanto avviene per il confinamento magnetico, quindi, il plasma viene confinato dall’inerzia della propria massa, senza bisogno di ulteriore intervento esterno.

Esperimenti di questo tipo sono molto simili a quello che avviene veramente nel cuore delle stelle, e sono quindi di grandissimo interesse scientifico, oltre che pratico, per capire con maggiore precisione processi quali la nucleosintesi stellare o il ciclo di vita ed evoluzione delle stelle.

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