È in edicola il primo numero di Wired Italia, a chi è piaciuto?

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Dopo tanta attesa e tanto hype è uscito in edicola il primo numero dell’edizione italiana di Wired.
Così come fece Elvis quando i Beatles approdarono per la prima volta negli Stati Uniti, diamo il benvenuto alla redazione di Wired tra noi e auguriamo loro una lunga e prolifica esperienza nel nostro Paese.

Sono felice che questa rivista arrivi a rinverdire lo stantio e scoraggiato panorama dei magazine cartacei. Un punto di vista apprezzato e quindi autorevole, che finalmente cerca di sconfinare fuori dai luoghi comuni degli opinion leader (sia di settore che generalisti) sia nei contenuti che nello stile, portando qualcosa che realmente mancava.
L’abbonamento, considerato anche che costa una miseria, per quanto mi riguarda è una scelta obbligata, anche se molti aspetti della rivista non mi hanno convinto.

Del Wired italiano mi piace il tono schierato ma mai politicamente di parte che spesso s’incontra. Apprezzo anche l’uso di parole che, solo nel Bel Paese, ancora suscitano sospetto a causa delle etichettature dei giornali di partito e delle dietrologie nostalgiche, ridando a queste il significato originario, mostrandosi indifferente alle logiche populiste e riconsegnando un minimo di dignità alla lingua italiana.

Bellissimo poi il paginone pieghevole in cui viene raccontata l’evoluzione culturale documentata da Wired in sedici anni con un diagramma che mette in relazione le icone della cultura contemporanea.

Sono invece stato molto deluso dai contenuti. Uscendo dall’edicola col giornale immano ho subito nutrito dei sospetti nei confronti della luccicante copertina, con un bel foto ritratto di Rita Levi Montalcini. È sicuramente un personaggio che piace e che è da sempre molto ambito dalle riviste italiane, ma perché dovrei essere interessato al rapporto della Montalcini con la sua veneranda età, se compro Wired?

I dossier principali del mensile raccontano storie, magari suggestive, ma che non imprimono al giornale l’identità avanguardista che invece ci si aspetterebbe. Perché parlare ancora di Echelon in un magazine? Perché portare nel primo numero storie che giornalisticamente parlando sono vecchie di mesi e mesi?

Le motivazioni dietro queste scelte secondo me, non screditano la qualità del lavoro in sé, ma più semplicemente si sta cercando di portare lo spirito del capostipite americano in un mercato che non è ancora in grado di apprezzarlo, con tutti i compromessi del caso, e spero che i lettori italiani riescano a colmare questo gap con il tempo, manifestando la volontà di un prodotto più evoluto, in linea con l’originale.

Contemporaneamente  è nato wired.it, progetto parallelo online, anch’esso stretto parente della realtà statunitense e che per il momento attira di più le mie simpatie, probabilmente proprio perché ha un diverso target di utenza, e chissà che una maturazione dell’edizione su carta non possa passare proprio da qui.

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