Copyright come strumento di potere nell’era digitale – parte 1: vecchi media vs rete

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Scusate se inizio in modo banale ma un’introduzione è dovuta. Com’è noto più o meno a tutti, siamo nell’era digitale e, alla luce dell’operato degli ultimi tre governi, devo precisare per chi ha votato il PD o il PDL che non sto parlando del digitale terrestre.

Maneggiare informazioni di ogni genere diventa ogni giorno più semplice. Si crea di più, si scambia e si condivide di più e si archivia sempre di più, ma i dati sono sempre più volatili, registrati su supporti che dovrebbero garantire almeno un secolo di longevità ma che spesso diventano illeggibili in sei mesi. Fino a qualche tempo fa per leggere un testo bastava conoscere la lingua, ora un software deve prima tradurlo dal formato digitale alla lingua corrente, scritto a sua volta usando un linguaggio compreso soltanto da una specifica piattaforma hardware e fatto per incastrarsi in una determinata piattaforma software. I nostri dati non sono al sicuro! Viene da invidiare gli egizi con i loro papiri.

La carta non avrà mai rivali, per via della semplicità di realizzazione e di fruizione. Ma se vogliamo cominciare a costituire una memoria digitale indelebile almeno finché avremo energia elettrica, una soluzione è la grid memory (espressione coniata adesso da me di sana pianta), ovvero la naturale duplicazione di tutto il materiale operata dagli utenti, nei servizi web e nei personal computer di tutto il mondo, tramite download, supporti o reti P2P. Tale processo, come avrete certamente notato, è già in corso, iniziato già ai tempi delle BBS. Non tutti gradiscono però e non stiamo parlando del semplice sfruttamento economico delle opere. In ballo sono i nostri diritti di fruizione delle opere e di essere informati, nonché la nostra memoria storica.

Mediaset ha denunciato YouTube per violazione dei diritti d’autore e in un Paese che, più che ad una democrazia o una dittatura (secondo alcuni), assomiglia ormai ad un feudo medievale, un rappresentante del Senato e del Governo qual è Luca Barbareschi, rilascia dichiarazioni pubbliche difendendo a spada tratta la scelta dell’azienda di Berlusconi, con delle argomentazioni che manifestano platealmente un’assoluta estraneità culturale per quel che riguarda la rete.

Denunciare YouTube per quello che pubblicano gli utenti è come denunciare la FIAT perché i vucumprà vanno a vendere musica e film masterizzati in Panda.

Nello stile più consono ai signori dell’alta imprenditoria italiana (quello di Olivetti, Telecom e  FIAT pre-miracolo Marchionne, ad esempio), piuttosto che rimanere competitivi evolvendosi insieme al mondo, si preferisce cercare di sbranare la concorrenza, sfruttando posizioni dominanti e avvocati (e conflitti d’interesse), mentre si continua a macinare utili reinvestendo poco o nulla.

Olivetti sappiamo che fine ha fatto, mentre Telecom sopravvive appena, ma solo perché costruire un’infrastruttura nazionale per il traffico dati, parallela a quella che noi contribuenti abbiamo gentilmente “regalato” a Tronchetti Provera, necessiterà di tempo. Secondo voi come andrà a finire per Mediaset?

In realtà il conflitto tra gli utenti di YouTube e Mediaset non c’è. Gli utenti vorrebbero vedere quello che pare a loro quando pare a loro, visto che la tecnologia lo permette. A chi realizza materialmente contenuti commerciali, importa che vengano diffusi e che ci sia un ritorno economico, YouTube può già adempiere alla prima esigenza e si sta attrezzando per la seconda, così l’azienda del Cavaliere sta soltanto cercando di frenare un futuro inevitabile, oltre che di screditare la rete agli occhi degli elettori che non ne hanno ancora una buona padronanza.

La perdita dell’egemonia televisiva, significa perdere il controllo dell’informazione e della morale proposta sotto forma di intrattenimento. Significa che finalmente il pubblico può scegliere cosa guardare assecondando la propria sensibilità, in un sistema che premierà economicamente chi sarà scelto dai fruitori dei contenuti, non chi proporrà prodotti compatibili con la linea morale e politica dell’emittente.

Le case di produzione discografica e cinematografica, con la complicità di governanti poco preparati o in pieno conflitto d’interesse, in questi anni hanno proposto una visione della pirateria falsata, accorpando due argomenti che non sono in realtà direttamente legati tra loro: il libero scambio di informazioni e la pirateria.

Esistono stretti legami tra le varie entità che costituiscono la “filiera” dell’intrattenimento, che partono dal talent scout e arrivano fino alle sale cinematografiche e al negozio (ormai online) di musica, passando per i network televisivi e radiofonici. che attualmente ci impongono, non solo di cosa fruire, ma anche dove e quando.

Le nuove strade aperte dalla rete ai contenuti stanno cambiando il mondo, e lentamente sgretoleranno questo castello di interessi, non solo economici. Con buona pace dei colossi hollywoodiani, della discografia mondiale e del nostro Presidente del Consiglio.

Anche la rete però non è un paradiso. Le nuove tecnologie hanno i loro grandi limiti che possono essere sfruttati per manipolare e manovrare l’informazione, per cambiare la percezione che abbiamo della realtà. Prenderne atto è un’ulteriore passo per vivere il web in modo più consapevole e maturo e proprio questo sarà l’argomento della seconda parte di questo articolo.

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