C’era una volta l’antitrust

Ricordate quando Microsoft era il bersaglio favorito delle autorità antitrust di tutto il pianeta? Si parlava di scelta del browser (anche in EU), di bundling del media player e altre pratiche anticompetitive nel rapporto con gli OEM.

Osservando l’evoluzione del mercato negli ultimi anni mi viene da pensare a cosa succederebbe se l’autorità antitrust vigilasse con altrettanta solerzia su quelli che, proprio a spese di Microsoft, sono oggi i protagonisti del mercato tecnologico.

  • Se nel 1998, Bill Gates avesse dichiarato che di lì a breve tutte le applicazioni sviluppate per Windows sarebbero state sottoposte a un controllo preventivo e poi vendute esclusivamente tramite un app store targato Microsoft, col 30% di provvigione prendere o lasciare, che sarebbe successo? Poniamo anche avesse deciso di limitare questa politica solo al – pur fiorente – ecosistema Windows Phone. Ebbene, nel 2008, quando Microsoft era ancora in alto mare con l’antitrust europeo, Apple lanciava l’App Store per iPhone, stabilendo un controllo totale sull’ecosistema software di una piattaforma di enorme impatto sul mercato (benché mai dominante).
  • E meno male che è arrivata Google a difendere la causa dell’open (ricordate la definizione di Andy Rubin?) con Android! Finalmente ognuno è libero di prendere il codice sorgente, forkarlo, aggiungere o togliere funzionalità a piacimento, accedere ai tanti servizi che Google con autentico spirito filantropico offre alla comunità in cambio di nulla se non un sorriso… salvo che non è vero. Al contrario Google, in palese posizione dominante nell’ambito dei video e del search, ha usato la gratuità di Android per estendere la relativa quota di mercato fino a un punto in cui si è potuta permettere di chiudere i recinti: i partner che forkano Android perdono sicuramente le feature non AOSP (compreso l’accesso alle Google apps) e facilmente la licenza Android; le Google Apps poi si prendono o si lasciano tout court: se vuoi integrare Youtube ti becchi anche Plus, che ti piaccia o meno (ulteriori approfondimenti su questo illuminante articolo di Ars Technica).

Intendiamoci: io non ho cambiato idea rispetto a quel che dicevo qui e soprattutto qui e continuo a convenire con Alan Kay relativamente all’integrazione hardware software, particolarmente in un comparto, il mobile, in cui il rapporto fra autonomia e potenza di calcolo è ancora molto critico. Continuo dunque a credere che un certo grado di “chiusura” sia funzionale all’esecuzione di un progetto hardware mobile. Credo anche che nel momento in cui il mercato si allarga a categorie di utenza del tutto estranee alla tecnologia, l’integrazione con un ecosistema software sia utile ad evitare che la massa diventi facile preda di qualunque malintenzionato. Credo infine che un brand abbia titolo a garantire l’esperienza dei suoi device, nei limiti in cui questo non turbi significativamente le dinamiche concorrenziali del mercato.

Ciò premesso, fossi in Microsoft e avessi sborsato qualche miliardo in cause antitrust, mi domanderei seriamente quando le regole del gioco siano cambiate e perché. E forse arriverei alla conclusione che, semplicemente, le autorità antitrust mondiali non stanno capendo nulla di quel che accade, ma soprattutto non lo stanno capendo i consumatori, quegli stessi che un paio di lustri fa, con una sola voce, auspicavano il fallimento di “Micro$oft” e reputavano Bill Gates il vice di satana, se non il diavolo in persona.

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