Dov’è la materia oscura?

Immagine artistica che rappresenta la distribuzione della materia oscura attorno alla nostra Galassia (ESO/L. Calçada)

Di che cosa è fatto l’Universo è sicuramente una delle domande principali a cui la scienza moderna sta cercando di trovare risposta. Attualmente, la teoria più accreditata vede la materia ordinaria (ovvero le particelle e gli atomi di cui siamo fatti noi e quello che ci circonda) coprire solo il 4% dell’intera massa dell’Universo. Circa il 20% sarebbe invece composto da una materia che non interagisce con la materia ordinaria se non attraverso la forza gravitazionale. Poiché questo tipo di materia non emette radiazione, viene chiamata materia oscura. Il resto dell’Universo è invece composto da qualcosa di veramente difficile da descrivere, chiamato energia oscura, per associazione (anche se non ha niente da spartirvi) con la materia oscura.

Poco tempo fa ho già avuto modo di parlare dell’energia oscura, quando ho scritto questo post sul premio Nobel assegnato quest’anno proprio ai ricercatori che ne hanno messo in ballo l’esistenza.

La materia oscura è relativamente più semplice da comprendere rispetto all’energia oscura. Il fatto alla base è questo: guardando vari fenomeni che avvengono nell’Universo si capisce che ci deve essere una quantità di massa considerevolmente superiore a quella che vediamo. Osservazioni di tipo diverso ci fanno capire diversi aspetti e proprietà di questa materia. L’osservazione per certi versi più facile da comprendere è quella relativa alla velocità di rotazione delle galassie: guardando le stelle che formano le galassie attorno a noi possiamo osservare con che velocità esse ruotano attorno al centro della galassia. Secondo la fisica newtoniana possiamo immaginare che la velocità di rotazione diminuisca come l’inverso della distanza al quadrato (come, per esempio, la velocità di rotazione dell’acqua in un maelstrom). In realtà, invece questo non sembra accadere nelle galassie osservate, come possiamo vedere dal grafico qui sotto:

La curva A rappresenta quello che ci aspetteremo secondo la fisica classica. La curva B, invece, è quello che osserviamo. Il modo più naturale per spiegare questa osservazione, senza imbrogliarsi in difficili teorie di gravità alternativa, è ammettere che queste galassie siano composte da molta più massa di quella che in realtà vediamo.

Un’altra prova dell’esistenza della materia oscura è quella che viene chiamata “lente gravitazionale”. Sostanzialmente, la teoria della relatività generale di Einstein suggerisce che una massa molto imponente “pesi” sullo spazio, curvandolo, come accadebbe appoggiando una palla di piombo su un lenzolo teso. La luce, che segue ovviamente lo spazio, si troverebbe quindi a percorrere una linea curva, invece che una linea retta.

http://chandra.harvard.edu/photo/2006/1e0657/more.html

L’immagine qui sopra mostra la presenza della materia oscura in modo molto suggestivo, anche se di non così facile interpretazione. Lo sfondo è composto da un’immagine presa dal telescopio Hubble, nelle frequenze del visibile. La zona colorata di rosa, invece, è un’immagine sovrapposta presa nelle frequenze di raggi X, che compone due galassie che si sono appena scontrate. Se guardate attentamente le stelle ai bordi delle zone colorate, vedrete che appaiono oblunghe e distorte. Questo è causato dall’effetto di lente gravitazionale, che distorce le immagini se tra di esse e l’osservatore c’è una grande quantità di massa. Tramite questo sistema è stata quindi colorata la zona blu, che rappresenta la materia oscura.

Le osservazioni del Fondo Cosmico a Microonde, invece, ci danno delle informazioni sull’evoluzione dell’Universo e in particolare ci possono far capire, seppur in modo indiretto alcune proprietà della materia oscura. Per esempio possiamo dire che si tratta di particelle stabili (ovvero che non decadono) e “fredde”, ovvero che non viaggiano alla velocità della luce (come per esempio i neutrini).

Insomma, abbiamo ad oggi un’idea abbastanza chiara di cosa stiamo cercando, ma ci sono ancora molte domande aperte. Due sono i principali misteri sulla materia oscura: la sua natura (ovvero che particella è?) e la sua distribuzione nell’Universo (che, tra l’altro, può contribuire anche a farci capire la sua natura).

Una nuova osservazione fatta da un gruppo di ricercatori dall’European Southern Observatory, a La Silla, Chile, sembra rompere le uova nel paniere a chi pensava di aver già capito tutto sulla materia oscura. Gli scienziati C. Moni Bidin, G. Carraro, R. A. Mendez e R. Smith hanno osservato la porzione di Galassia attorno al nostro Sole più grande mai considerata finora. Hanno misurato la velocità di più di 400 stelle in un raggio di 4000 parsecs (13000 anni luce) attorno al Sole, entro un cono di 15 gradi di apertura.  Similmente alle considerazioni fatte sulla velocità di rotazione delle stelle nelle altre galassie, osservazioni come questa possono farci capire la quantità di materia oscura presente nella nostra stessa Galassia, nella zona circostante al nostro Sole.

Le osservazioni fatte, che per la loro importanza sono apparse anche nel blog di Nature (anche se l’articolo verrà pubblicato su The Astrophysical Journal), sembrano essere in netto contrasto con le nostre conoscenze sulla materia oscura. Sembra, infatti, che ce ne sia meno di un decimo di quella che ci si aspetterebbe.

Se questa osservazione venisse confermata, renderebbe necessario rivedere tutta la teoria cosmologica standard dell’Universo e di certo le teorie sulla materia oscura. Come sempre, però, prima di buttare all’aria decenni di studi, bisogna controllare a fondo la misura. Infatti, sebbene tutta la comunità scientifica apprezzi l’elevatissima qualità di questa analisi, è necessario tener presente che è soggetta a una serie di assunzioni e approssimazioni, che non necessariamente sono del tutto giustificate o valide. Per esempio, la zona presa sotto osservazione è soprattutto contenuta sul piano galattico, dove la materia ordinaria (ovvero le stelle) domina immensamente ripetto alla materia oscura. Diverso sarebbe se le osservazioni venissero fatte  a qualche kiloparsec sopra o sotto il piano galattico (peccato che con i mezzi attuali, una tale osservazione sia impossibile).

Gli stessi ricercatori che hanno pubblicato questo incredibile risultato avvertono che va preso con le pinze, poiché è soggetto a interpretazione in base alle ipotesi che vengono fatte inizialmente.

Ciò nonostante, è un’analisi interessantissima (in accesso libero qui) che mette ancora un po’ di carne sul fuoco nello studio dell’Universo e della sua composizione.

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