Qualche riflessione sulla trasmissione “Servizio pubblico”

In moltissimi hanno visto ed apprezzato la prima puntata di Servizio Pubblico, il nuovo programma “crowdfunded” di Michele Santoro. È la consacrazione di un format molto promettente, varato a marzo 2010 con Raiperunanotte.

È proprio davanti a questa consacrazione, all’idea che questo approccio possa rappresentare un’alternativa al gatekeeping televisivo, che scaturiscono alcune riflessioni.

Partiamo dal concetto stesso di crowdfunding: chi ha sostenuto la trasmissione, ha in questo voluto sostenere una voce, un punto di vista, una sensibilità politica, che ha ritenuto – peraltro a ragione – osteggiata e messa a tacere da logiche poco trasparenti di controllo dei mass media. Con la rara eccezione di qualche oppositore animato da sincero spirito sportivo, è lecito supporre che a finanziare la trasmissione siano state, per la maggior parte, persone politicamente orientate in modo coerente alla posizione di Santoro.

Dunque, un po’ come nel caso della ricerca web – ne abbiamo parlato in precedenti elucubrazioni – il cui risultato è del tutto proporzionale alla motivazione iniziale dell’utente, ivi compresi i pregiudizi, un modello del genere, proiettato in larga scala e certamente replicato dalla parte avversa, può rappresentare il trionfo della polarizzazione.

Il che non significa affermare che, di converso, una trasmissione a cui partecipano in egual numero i cani da guardia delle rispettive posizioni in campo, sia il servizio migliore che un giornalista può rendere al suo pubblico. Significa semplicemente che, nel momento in cui la trasmissione è finanziata da un pubblico di parte, diventa più difficile dare per scontato l’equilibrio dell’informazione.

Pur volendo sottrarre un giornalista navigato e sensibile come Santoro ad una simile critica, risulta evidente che questo modello ha finalità e metodi che difficilmente si conciliano con quello che siamo – o meglio, i nostri padri erano – abituati a chiamare servizio pubblico, perlomeno al suo modello ideale.

Il che ci conduce ad un’altra riflessione: venuto meno l’editore, il conduttore si sottrae ad ogni intervento esterno nel merito della linea editoriale e crea il suo stesso spazio espressivo, divenendo “super-conduttore”. Nel caso di Santoro, una solida reputazione formatasi nella vecchia RAI, quindi trasportata su nuovi media, ha reso possibile questa “promozione”. Ma senza il battesimo della vecchia TV, senza il tradizionale concetto di broadcast che questo nuovo modello si propone di scalzare, esisteranno sul web personaggi con una visibilità tale da creare massa critica? In altre parole, il prossimo Santoro può nascere senza la spinta della vecchia TV?

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