Quel che ci resta di Steve Jobs

Dietro la mia passione per il retrocomputing c’è un’irrazionale nostalgia, la nostalgia per un’epoca vissuta solo parzialmente e molto da lontano. Una nostalgia che punta dritto a quel fazzoletto di America che, negli anni ’70 e ’80, è stata la fabbrica dell’informatica moderna, la Silicon Valley.

In quest’America ancora lontana dal manifesto declino morale, culturale ed economico in cui naviga – in compagnia dell’intero occidente – una classe di grandi imprenditori ha costruito imperi economici letteralmente dal nulla. Fra costoro Steve Jobs ha rappresentato una figura di massimo rilievo, non tanto e non solo per la prima parentesi della sua tortuosa ascesa, quanto per il suo trionfale ritorno nell’industria.

L’Edmond Dantes della tecnologia è rientrato negli uffici di Cupertino animato non da sete di vendetta, ma dalla totale determinazione a fare di Apple un’azienda di successo. Quindici anni del suo regno (parola non casuale, visto il suo stile manageriale) l’hanno in effetti trasformata – indipendentemente da quel che succederà d’ora in avanti – in un capitolo della storia imprenditoriale USA, uno di quei pochi casi di successo (mi vengono in mente Ford, IBM, Microsoft) su cui si scriveranno ancora fiumi d’inchiostro che generazioni di nuovi aspiranti imprenditori leggeranno.

Malgrado la potenza evocativa di cotanto passato, la più importante qualità di Jobs è stata la capacità di lasciarselo alle spalle, di non fossilizzarsi nel ricordo, di tenere sempre la barra puntata sul futuro. La sua vita è stata un continuo affermare che siamo le mani che costruiscono l’avvenire, non i monumenti equestri al nostro passato, buoni solo per i bisogni dei piccioni.

Che questa filosofia di vita – unita a un innegabile talento – abbia portato in vetta un’azienda che opera a fini di profitto, e se vogliamo contribuisce ad alimentare un consumismo sempre più fuori tempo massimo, oggi come sempre è una considerazione fuori luogo. La lezione di Jobs, per chi sa coglierla, è molto più generale: mettere a fuoco le proprie priorità e fare tutto ciò che è in proprio potere per seguirle, nel poco tempo a nostra disposizione.

Remembering that I’ll be dead soon is the most important tool I’ve ever encountered to help me make the big choices in life. Because almost everything — all external expectations, all pride, all fear of embarrassment or failure — these things just fall away in the face of death, leaving only what is truly important. Remembering that you are going to die is the best way I know to avoid the trap of thinking you have something to lose. You are already naked. There is no reason not to follow your heart.

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