Perché l’iPad non salverà l’editoria

Alla crisi dell’editoria non è estranea l’interpretazione non economica del fenomeno Internet: tutto gratis per tutti, poi si vedrà. Dopo oltre quindici anni di “svendita dell’argenteria” era dunque naturale che nell’arrivo dell’iPad e in generale nel ritorno del tablet, gli editori riponessero molte speranze.

Un po’ meno facile era attendersi che la quasi sola traslazione di contenuti e modelli di business sul nuovo formato – la cui diffusione rimane peraltro di gran lunga sottomultipla rispetto a quella dei terminali non-tablet connessi a Internet – risolvesse come per miracolo la crisi economica del newsmaking.

Come abbiamo visto qualche giorno fa, con Flipboard – e il numero esorbitante di suoi cloni, analoghi e simili, compreso quello targato Google che prima o poi arriverà – è suonata l’ultima chiamata, se non già il requiem, per le aspettative dell’industria dei contenuti circa il fenomeno tablet.

Alcuni segnali di allarme si sono palesati, più o meno in ordine cronologico:

  • le riviste confezionate come app iPad, dopo un certo entusiasmo (non si sa se più legato al dispositivo o al contenuto), hanno conosciuto un crollo di vendite;
  • con The Daily, News Corporation ha lanciato negli USA un’intera nuova testata dedicata all’iPad, con prezzo molto aggressivo per singoli acquisti e abbonamenti…
  • …senza però ottenere, almeno ad oggi, i risultati sperati: non è chiaro se a causa di problemi editoriali, tecnici o di una scarsa ricettività del mercato;
  • FlipBoard, l’aggregatore e ri-confezionatore automatico di notizie per iPad, ha ricevuto un nuovo round di finanziamenti per $ 50 milioni;
  • Condé Nast, uno degli editori USA più innovativi e aggressivi su Internet, ha rivisto le proprie strategie iPad in direzione di una netta contrazione dei prezzi di vendita, a fronte di risultati evidentemente non esaltanti.

Come abbiamo già avuto occasione di sostenere, richiedere lo stesso prezzo per l’edizione online e per quella cartacea puzza un po’ di tentativo di incrementare i margini a costo zero, il che non motiva certo il lettore all’acquisto. Particolarmente se quello stesso lettore sta ancora piangendo la dipartita di 5/700 dollari dal proprio portafoglio per l’acquisto dell’agognato tablet.

Mi si obietterà che per esempio l’edizione iPad di Wired include un lavoro extra di integrazione di contenuti multimediali: dubito tuttavia che questi contenuti e il relativo lavoro d’integrazione compensino i costi variabili di distribuzione e stampa. Sicuramente mi fanno dare in escandescenza durante tutto il tempo necessario a scaricare, fra un errore di connessione e l’altro, i 3/400MB necessari per un singolo numero della rivista.

C’è di più: gli utenti sono da anni abituati a contenuti aggiornati a scansioni rapidissime. Il formato del magazine online, esattamente come un giornale cartaceo, non “respira”: ciò che di nuovo accade fuori dal magazine circa gli argomenti affrontati, fuori rimane. In The Daily alcune sezioni sono aggiornate in tempo reale ma l’applicazione rimane nel complesso statica, come statici sono quei tanti giornali saltati sull’iPad con l’aiuto di un layer che adatta il solito PDF alla visualizzazione su schermi touch.

Rimane comunque abbastanza chiaro il fatto che fra la diffusione del tablet e la salute del mercato contenuti possa esservi una correlazione, proprio in funzione della capacità del tablet di assolvere ottimemente alla consultazione di contenuti multimediali.

È per questo che sempre più assisteremo ad una compenetrazione fra le relative economie – il passaggio ad una fase in cui i produttori di contenuti saranno in parte compensati dal prezzo di acquisto dei tablet o viceversa l’acquisto dei tablet sarà ammortizzato dalla sottoscrizione di un abbonamento per l’accesso a contenuti.

Dal punto di vista della composizione, sarà necessario trovare una formula che combini la “respirazione” dei contenuti – i tablet sono dispositivi per definizione connessi – con la ricchezza di un’applicazione nativa, il tutto con prezzi ridotti all’osso e sotto l’ombrello di un sistema di billing il più possibile trasparente – tanto nel senso della chiarezza quanto della non interferenza nei percorsi di consultazione – e anzi, possibilmente flat per il bacino più ampio possibile di materiale.

Gli spunti lanciati finora spiegano il senso del titolo: non è con i formati e i modelli di tariffazione in voga più o meno dai tempi di Gutenberg – magari con un pizzico di effetto wow per stupire gli amici – che si salverà la stampa ai tempi dell’iPad.

Il potenziale del tablet non consiste infatti in una nuova vita per i vecchi magazine e quotidiani, superati dai tempi fin dall’arrivo di Internet, né tantomeno in una chance per ripianare i conti delle aziende editoriali: il tablet offre agli editori uno spazio in cui cercare la formula per la ripartenza di un motore, quello dell’informazione, ingolfato da quasi due decenni di tutto gratis, ma anche da modelli economici già da lustri obsoleti e inefficienti.

Sarà per gli editori dunque il caso di darsi una buona mossa, prima che Flipboard o chi per lui si accolli la funzione di “agevolatore della transizione”, ponendo gli editori davanti a quel bivio fatale che già Apple mostrò alle major musicali qualche anno fa.

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