Insomma, chi ha ucciso la Apple Computer?

Qualche giorno fa ho riportato su queste pagine un intervento del 2003 di Michael Mace, un ex Apple (87-97) che ha avuto molto da ridire sulla “morte” di Apple Computer, con un riferimento non troppo velato alle scelte minoritarie fatte da Jobs dopo il suo rientro e a certa “consumerizzazione” conosciuta dal marchio.

Oggi desidero cogliere l’occasione di condividere con voi alcuni commenti sul pezzo di Mace e al contempo, sviluppare qualche obiezione rispetto ad alcune tesi emerse nei commenti.

L’intervento di Mace, sebbene non recentissimo è interessante perché porta le tracce del “sacro fuoco” con cui dipendenti e utenti della Apple di qualche anno fa difendevano l’ispirazione e la “missione” della mela – anche davanti a insuccessi commerciali clamorosi e alla progressiva incapacità di abbandonare direzioni strategiche fallimentari.

Al contrario, con l’eccezione di qualche vecchio volpone (in qualche modo mi includo nella categoria) che capisco ancora apprezzi la “diversità” delle macchine Apple dell’epoca rispetto al piattume del mondo x86, i maggiori sostenitori della Apple di allora sono i detrattori della Apple di oggi, che usano a volte un po’ troppo liberamente il passato per criticare quanto vedono di sbagliato o imperfetto oggi.

Premetto che qualunque discorso diacronico su Apple è monco se non menziona che ci sono due Apple da considerare: quella dell’Apple ][ e quella del Mac (ne abbiamo parlato estesamente qui). La prima “aperta”, con vocazione maggioritaria, pronta però a seguire la stessa parabola del business PC di IBM lato hardware, e a finire sotto il rullo compressore di Redmond lato software. Dall’altro lato c’è la Apple del Mac, tornata a una vocazione consapevolmente minoritaria dopo il rientro di Jobs, finanziariamente sostenibile, “chiusa”, marcatamente consumer.

Pur avendo chiara questa dicotomia, a un certo punto i discorsi si confondono, perché non v’è alcuna attinenza fra l’ispirazione Wozniack-iana dell’Apple ][, la visione di un computer a basso costo e feature limitate di concezione Raskin-iana com’era il primo Mac, o la pc-izzazione del Mac partita col Macintosh II e la nicchia di portatili Powerbook, spesso venduti a prezzi da pret-a-porter e a volte pure sottopotenziati.

Riesce difficile capire a quale di questi prodotti Mace faccia riferimento quando rimpiange “il vero spirito” della Apple. Spero non alla straordinaria incapacità, provata e controprovata proprio negli anni ’90, di innovare sul fronte OS. Incapacità che ha portato ad avventure come Taligent, la santa alleanza dei due “trombati” da Microsoft, finita a tarallucci e vino dopo qualche decina di milioni andati in fumo, o Copland, l’OS che doveva portare fuori dagli anni ’80 Mac OS, terminato anche lui in gloria per riconsegnare Mac OS ad un altro lustro nell’epoca degli Spandau e dei Duran.

Molti ricordano la qualità costruttiva delle macchine di una volta, argomentazione che può essere accettata con qualche distinguo. Chi ci ha messo le mani su sa che le macchine Apple degli anni ’80 e dei primi anni ’90 avevano lo stesso livello di complessità di una costruzione lego. In generale i materiali e la componentistica, specie negli anni ’90, erano sì di livello superiore: ma vogliamo parlare dei prezzi dell’epoca? Chi ritiene ingiustificatamente costosi i computer Apple di oggi farebbe bene a ricordare quanto costavano i primi Powerbook PowerPC o anche gli ultimi, piuttosto sottopotenziati, modelli 68k.

D’altronde mantenere un prezzo impopolare era una precisa strategia del marketing della mitica Apple Computer, che contribuiva a fomentare il fanatismo (ci sono teorie psicosociali di supporto) e un ben riconoscibile senso di appartenenza e superiorità. Ci volle un cambio di CEO e una lotta intestina piuttosto dura (finita con la fuoriuscita di J.L. Gassee) per arrivare a una linea di prodotti low cost (gli LC per l’appunto).

Altri utenti ricordano per esperienza la proverbiale superiorità dei Mac di una volta in specifici ambiti, a partire dalla grafica, ma anche la musica e un po’ pure il video (sebbene l’Amiga in quell’ambito non abbia ammesso rivali anche qualche anno dopo la fine della Commodore).

Io stesso ebbi modo di rimanere sorpreso vedendo Tiger schizzare su un PPC G4 a 1.33Ghz, mentre fior di PC dual core arrancare sotto il peso di Aero. La risposta è una e si chiama ottimizzazione: per il resto, con la sola eccezione dell’unità SIMD Altivec giunta col G4, il PowerPC era una CPU sempre più in ritardo rispetto alla crescita delle CPU x86. Nei crudi numeri qualcosa aveva da vantare sui primi Pentium, ma lo perse rapidamente per strada.

Fino a quando Apple ha perseguito una politica di espansione della quota di mercato, i produttori di software, Adobe in primis, l’hanno seguita, sviluppando versioni altamente ottimizzate, specificamente sull’unità Altivec. Ma dato che la Apple della quota di mercato a due decimali era anche quella del debito a 9 zeri, il gioco non poté durare e gli sviluppatori Mac-centrici finirono per rivolgersi al rimanente 90% del mercato.

Un mercato certo più frammentario, disordinato e qualitativamente non omogeneo, basato su un OS anch’esso non allo stato dell’arte (Windows 9x), ma almeno pienamente multitasking e con protezione della memoria, e poi propulso da un comparto hardware in rapidissima evoluzione – specie al confronto con i letargici cicli di sviluppo dei chip PPC.

Alla luce di tutte queste considerazioni, cerchiamo di rispondere alla domanda iniziale: chi l’ha uccisa questa benedetta Apple Computer?

L’ha uccisa proprio il fanatismo, degli utenti e dei manager, specie quando ha sostituito come priorità l’esigenza di vendere e fare profitti. L’ha uccisa quel senso di “essere in missione per conto di Dio” che si è ripiegato nella cronica incapacità di mettere sul mercato prodotti innovativi (non dimentichiamoci i doppiaggi prestazionali a quasi parità di prezzo nella breve parentesi dei cloni).

Su capacità innovativa e profitti, allora come oggi, si misura il successo e si regola la sopravvivenza di un’azienda. Il resto, lo dico col massimo rispetto in quanto io stesso cultore della chiacchiera a sfondo retronostalgico, sono appunto chiacchiere da bar. Ed è fumo negli occhi la “mission” di “liberare il mondo da computer mal progettati”, un intento la cui nobiltà non produce soldi e rende solo più stridente il contrasto con i molti sistemi assolutamente mediocri venuti alla luce negli anni ’90, che solo un fanatico (specie a certi prezzi) avrebbe acquistato pur di sentirsi fuori dal coro.

Questo non significa dare a Jobs una ragione proporzionale ai soldi che è riuscito a mettere in cassa – la Apple di oggi è alla testa di una consumerizzazione dell’informatica che ha i suoi lati oscuri – ma semplicemente confutare la tesi secondo cui per criticare la Apple di oggi abbia senso rievocare i proclami e i prodotti del passato.

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