Internet e la fine dell’avatar

Non è un mistero che il valore monetizzabile dell’individuo nello scenario 2.0 sia sempre più focalizzato sulla sua capacità di produrre dati – laddove in precedenza era proporzionale alla semplice esposizione a un messaggio, le cd. eyeballs.

Una produzione di dati che avviene in modo attivo – post, commenti, tweet, status update – o passivo – autorizzando terze parti al tracciamento di percorsi di navigazione, clic etc.

Funzionalmente a questo scopo, il ruolo delle piattaforme 2.0 che vanno proliferando negli ultimi anni è – al di là delle parvenze sociali e giocose – quello di estrarre sempre più dati dall’utente, anche in modo silenzioso e del tutto inavvertito.

Facciamo un passo indietro: le relazioni nel cyberspazio sono partite seguendo un modello uomo/dati/luogo di scambio, laddove la relazione fra uomo, univocamente identificabile come nel mondo reale, e dati prodotti, è oscurabile (la legge offre tuttora qualche tutela di questo diritto).

Oggi, l’obiettivo delle piattaforme 2.0 è esattamente opposto: eliminare la distinzione uomo-dati, unificare il soggetto reale con il/i soggetto/i virtuale/i in un’unica entità umana, definita, riconoscibile e localizzabile geograficamente, con cui la piattaforma s’interfaccia in quanto tale, da cui estrae dati in modo continuo e silenzioso.

Il passaggio è tanto più interessante poiché sovverte una delle dinamiche fondamentali dalla Internet della prima ora, quella – durata fino all’altroieri, con la “seconda vita” di Second Life – dell’avatar, della personalità virtuale, con l’annessa opzione di anonimato usata e abusata per lunghi anni.

In questo passaggio la piattaforma stessa arriva a pretendere dignità umana nel momento in cui sceglie di relazionarsi all’uomo in quanto tale – come fosse un altro uomo che gli sta davanti – ma anzi sovrumana, perché si relaziona allo stesso modo – uno a uno – con masse enormi di uomini, raccogliendone dati, stabilendo correlazioni, sviluppando inferenze in assenza di dati espliciti.

Inutile dire che gli strumenti tecnologici di cui l’individuo si circonda (pagandoli a caro prezzo) in quanto terminazioni finali della piattaforma, sono la trappola in cui si chiude da solo.

Lo stadio finale di questa evoluzione si chiama profilazione totale: la macchina detiene la conoscenza, controlla le relazioni, interpreta e prevede opinioni e intenzioni. Gli uomini, inestricabilmente integrati con i sensori della macchina, diventano essi stessi gli elementi terminali del sistema: seguono gli impulsi che gli vengono trasmessi, reagiscono, forniscono dati grezzi da aggregare ed anzi, sono i dati grezzi.

Qualche spunto di approfondimento:

– L’opt out da Google ads

– Il real name system, dopo la Corea anche in Cina

– Il futuro del publishing online secondo Banzai

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