Google festeggia il 25esimo anniversario del fullerene

Vi sarete accorti che durante il weekend Google ci ha deliziati con un nuovo doodle, addirittura interattivo. La seconda “o” di Google si trasformava, prendendo la forma di una “buckyball”, una struttura sferica che prende il nome dalla sua somiglianza con le cupole geodetiche dell’architetto Buckminster Fuller. Passando con il mouse sopra il Doodle, scopriamo che la ricorrenza festeggiata sono i 25 anni della scoperta del fullerene: il 4 Settembre 1985, infatti, Richard Smalley, Robert Curl, James Heath, Sean O’Brien, e Harold Kroto hanno scoperto la prima molecola di questo materiale alla Rice University.

Ma che cos’è questo fullerene? Fullerene è una qualsiasi molecola composta interamente da atomi di carbonio, che si presenti nella forma di un cilindro, una sfera o un anello. In chimica viene detta “allotropia” la proprietà di alcuni elementi di presentarsi sotto forme diverse. Già nei primissimi corsi di chimica viene portato come esempio più lampante di questa proprietà il carbonio.

Esso, infatti si presenta in natura sotto forme che appaiono chiaramente differenti anche a livello macroscopico: sappiamo infatti che sia la grafite (per esempio la punta delle matite) che i diamanti, sono entrambi materiali composti esclusivamente da carbonio. Le proprietà chimiche e fisiche di questi due materiali, però, risultano ben diverse: la grafite è tenerissima, per esempio, mentre il diamante è uno dei materiali più duri che esistano.

I fullereni sono simili alla grafite in struttura, ma gli atomi di carbonio sono disposti in pentagoni o eptagoni (similmente a una palla da calcio “classica”, bianca e nera) in modo da impedire alla struttura di appiattirsi bidimensionalmente. Per questo i fullereni hanno sempre una struttura tridimensionale.

Nel 1985 è stata scoperta una molecola di C60, ovvero una molecola composta da ben 60 atomi di carbonio legati vicendevolemente andando a formare una struttura sferica simile alle cupole di Buckminister: per questa ragione l’articolo su Nature pubblicato qualche mese dopo lo battezza Buckministerfullerene.

Da un punto puramente scientifico è grandemente interessante venire a conoscenza che il carbonio si può presentare sotto numerosissime forme, non solo diamante, grafite e forme di solidi amorfi quali il carbone. Ma l’interesse del fullerene non si limita alla pura conoscenza: le applicazioni che queste molecole hanno avuto nel campo delle scienze dei materiali e delle nanotecnologie sono vastissime.

I fullereni, anche se rari esistono in natura: in particolare il buckministerfullerene, essendo una delle forme più piccole, è anche il più comune. Si può trovare infatti nel particolato carbonioso (o soot) prodotto dalla combustione di materiali organici.

I fullereni maggiormente promettenti dal punto di vista delle applicazioni pratiche sono i nanotubi: tubi di carbonio larghi appena qualche nanometro ma lunghi anche diversi micrometri o addirittura millimetri (il più lungo mai sintetizzato raggiunge i 4 centimetri!). La loro struttura molecolare complessa gli conferisce proprietà fisico-chimiche estremamente interessanti.

Hanno infatti una forza di rottura molto elevata, fino a 20 volte superiore a quelle delle leghe di acciaio, pur mantenendo una densità molto inferiore di quella dell’alluminio. I nanotubi sono ottimi superconduttori sia di energia elettrica che termica.

Molte aziende si impegnano nella realizzazione di questi nanotubi di carbonio a fini industriali e commerciali. Per esempio si possono sviluppare memorie dei computer, cavi elettrici e diverse applicazioni in fisica dei materiali. I campi di ricerca che sfruttano queste molecole sono svariatissimi: dall’elettronica alla meccanica, dalla chimica alla biofisica.

Le proprietà elastiche di questi tubi fanno sperare di sintetizzare tessuti muscolari artificiali per sostituire tessuti danneggiati, sono ottimi superconduttori e hanno un’eccellente capicità elettrica e possono venir utilizzati per la costruzioni di cellule fotovoltaiche.

I nanotubi hanno proprietà chimiche che li rendono allettanti filtri per l’inquinamento e le loro proprità di assorbimento elettromagnetico fanno si che possano essere utilizzati per coperture stealth. La lista di applicazioni presenti e future è lunghissima e spazia veramente in quasi ogni capo della scienza e tecnologia. Un articolo che riassume bene le potenzialità dei nanotubi è presente in questo sito.

In conclusione, ringrazio Google di avermi dato la possibilità di approfondire l’argomento e di scoprire un po’ della storia di questi importantissimi materiali, sperando che internet continui ad essere, e anzi diventi sempre di più, una buona scusa per aumentare la nostra consapevolezza in campo scientifico e tecnologico.

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